Papa Francesco, con le sue omelie e i suoi gesti, carichi di significati, è il pontefice che più di tutti sta tra la gente, parlando al cuore dei fedeli e interessandosi a questioni sociali quali l’immigrazione e il lavoro. Si esprime non come un capo di Stato bensì come una guida spirituale e lo fa con un linguaggio semplice che non lascia spazi a malintesi, perché il Cristianesimo è misericordia e amore. Papa Francesco tuttavia non rinuncia a far sentire la sua voce in modo piuttosto forte su argomenti delicati come per esempio il terrorismo. Bergoglio è il Papa della svolta, almeno questo è il parere di Dario Edoardo Viganò, autore del libro “Fedeltà è cambiamento”. Monsignor Viganò è Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede nonché Direttore del Centro televisivo Vaticano. Lo abbiamo intervistato per saperne di più del saggio, edito da Rai Eri.
Monsignor Viganò, perché fedeltà è cambiamento?
La storia ci insegna che dinanzi a un processo di cambiamento la riflessione viene imbrigliata da subito dentro categorie polarizzate. Così avvenne in occasione dell’indizione da parte di Papa Giovanni del Concilio Vaticano II, così con Paolo VI e la sua riforma della Curia, così oggi con Papa Francesco. Dinanzi alle sue scelte e ai suoi gesti ancora una volta assistiamo a una lettura semplicistica che cerca di dipingere il papa venuto dalla fine del mondo come un Papa “comunista” o addirittura “rivoluzionario”. La verità sta nel fatto che solo un uomo come Papa Francesco, radicato pienamente ed esclusivamente nel Signore, non ha paura della storia e delle sue contraddizioni e può avviare processi. Dire che è un Papa non tanto con i piedi per terra ma con i piedi in cielo, ovvero radicato nell’amore di Dio e per questo può vedere, accarezzare, compiere gesti come ha fatto Gesù. Allora in questo senso rivoluzionari ci sta!
Quali sono i caratteri distintivi della comunicazione di Papa Francesco e in cosa si differenzia dai pontefici precedenti?
Difficile sintetizzare. Si può dire che lo stile di Papa Francesco è conversazionale e di prossimità. Un uomo che predilige i racconti di vita all’esposizione dei concetti anche se questo non deve trarre in inganno. Qualcuno ha detto che è come Apple: interfaccia semplice, sistema complesso. Un uomo di grande cultura può essere semplice nel suo “dire”. La differenza con i suoi predecessori? Mutuo anche qui un detto di un cardinale: la gente veniva a Roma per vedere Giovanni Paolo II, per ascoltare Benedetto XVI e, oggi, per incontrare papa Francesco. Mi pare una buona sintesi.
Nel libro narra alcuni aneddoti, partendo dalla sera in cui Bergoglio fu proclamato Papa. Può raccontare un momento significativo ai nostri lettori?
Beh! Per esempio quando, dopo la benedizione dalla Loggia centrale di San Pietro, si è diretto verso l’ascensore. I Cardinali si aprono per lasciar salire il nuovo pontefice e attendono, come usanza, che l’ascensore chiuda le porte per poter poi scendere anche loro. E’ a quel punto che Papa Francesco si rivolge a loro e chiede: perché non salite? C’è posto! Così inizia un pontificato all’insegna, come dice lui, della normalità.
Perché Papa Francesco è il pontefice della svolta? E cosa bisogna e si può cambiare all’interno della Chiesa, dove è innegabile che ci siano delle “lotte” intestine tra una visione conservatrice e una più moderna, di cui Papa Francesco è il principale sostenitore?
E’ fisiologico che i cambiamenti provochino alcuni irrigidimenti e, altrove, alcune fughe in avanti. Ma tutto si ricompone perché il Papa non è un uomo di una parte, ma è il Papa che garantisce l’unità. La Chiesa non è una realtà monolitica: è un caleidoscopio di esperienze e di sensibilità e il Papa conduce tutti a riscoprire l’urgenza del primato di Dio.
I riflettori sono puntati sul Vaticano, perché secondo Lei oggi più di ieri si cerca di entrare nelle questioni, soprattutto finanziare, della Chiesa?
Il Vaticano è percepito sempre come un luogo avvolto dal mistero: basti pensare a romanzi o a film che scandiscono l’immaginazione declinandola ora in thriller ora in inchiesta. Credo sia proprio il forte impatto e la grande stima degli uomini e delle donne nei confronti di Papa Francesco che ricentri l’attenzione sul Vaticano e su quegli aspetti sui quali da anni, già con Papa Benedetto XVI, si stia facendo chiarezza e, direi anche, un processo di purificazione. Da dire anche che questo interesse non sempre è abitato dall’amore per la Chiesa, il grande popolo di uomini e di donne che sanno di essere, nonostante le proprie fragilità, salvati dal Signore.
Se dovesse descrivere Papa Francesco con tre aggettivi, quale sceglierebbe?
Sceglierei gli aggettivi: Deciso, paziente, generoso.
Lei scrive di una vera rivoluzione di Papa Francesco, in che senso?
Nel senso che, come disse Gesù a Nicodemo, ci invita a “rinascere dall’alto”, ovvero per sapere bisogna vedere e per vedere nella luce giusta bisogna rinascere dallo Spirito Santo. E’ questa la rivoluzione: non cedere nelle tentazioni, ricordate alla chiesa italiana, del pelagianesimo e dello gnosticismo. In altre parole comprendere che strutture e sofismi non conducono al gusto del Vangelo, bene prezioso della Chiesa.