Ci sono storie e tradizioni risucchiate dall’oblio, anche oggi che con Internet ci sembra di non poter dimenticare più nulla. Eppure esistono racconti di persone, di interi popoli anzi, che non compaiono su nessun libro di storia. Sulle ragioni non ci soffermiamo, le implicazioni e le variabili sono davvero troppe. Ma oggi cogliamo l’occasione di una bella mostra fotografica a Roma per ripescare dalla memoria la storia e i costumi dei Sikh, straordinario popolo guerriero che ha combattuto fianco a fianco agli inglesi per due guerre mondiali e di cui esistono tante comunità sparse in tutta Europa, di cui alcune molto numerose anche qui in Italia. Oltre ad avere nel Sikhismo un faro spirituale e religioso antico di 500 anni.
“I Sikh – Storia, Fede e Valore nella Grande Guerra” ha inaugurato lo scorso 15 novembre presso la Galleria della Biblioteca Angelica, a due passi da Piazza Navona e racconta attraverso splendidi scatti storici e pannelli informativi le vicende di un popolo profondamente legato al suo Credo e alla causa per cui decide di battersi. Nel 17esimo secolo gli inglesi iniziano la loro penetrazione in India con la East India Company, un’impresa commerciale che si afferma lentamente in tutto il Paese. Dopo l’insurrezione del 1857, nota come la “Rivolta dei Sepoy”, la sovranità dei territori sottoposti al dominio britannico viene assunta direttamente dalla Corona. Il Panjab, da tempo dominato dai Sikh, fu uno degli ultimi territori a cedere agli inglesi: gli indiani infatti si opposero fieramente agli invasori, combattendo per ben due guerre (1845 e 1849). Tuttavia, una volta annesso il Panjab all’Impero Britannico, l’esercito inglese venne riorganizzato e suddiviso in quattro Comandi: Panjab, Bengala, Madras e Bombay. Nacque dunque l’Indian Army, che prese attivamente parte a entrambe le guerre mondiali, distinguendosi per il suo grande valore. Si stima che nel primo conflitto mondiale furono inviate nelle zone di guerra circa 1.600.000 uomini appartenenti al corpo asiatico, di cui il 45 per cento rappresentato dai Sikh. Un contingente enorme, quindi, quasi pari per dimensioni alla totalità delle unità militari provenienti dagli altri Paesi dell’Impero come il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sud Africa.
Furono 48.000 i soldati indiani che morirono durante la Prima Guerra Mondiale. Altri 65.000 vennero gravemente feriti e rimasero disabili. Ovunque l’Impero Britannico era impegnato in una guerra, gli indiani erano presenti: sul fronte macedone (1915-18), in Nord Africa (1915-1916), Mesopotamia (1914-1920), Russia (’18-’19), durante la Campagna d’Italia (1917-1918). Proprio la nostra penisola ospita la seconda comunità Sikh più grande d’Europa (dopo, ovviamente, l’Inghilterra), con circa 60.000 persone residenti tra Vicenza, Roma, Sabaudia, Latina, Ancona, Cremona, Mantova, Brescia, Verona, Parma, Bergamo e Reggio Emilia. Un popolo legato a doppio filo alla sua tradizione plurisecolare nata nel 1469 quando venne al mondo Nanak, ovvero il primo Guru del Sikhismo, fondatore di una nuova religione priva di fanatismo, intolleranza e qualsiasi forma di violenza. Per diffondere il suo messaggio, Nanak intraprese lunghi ed estenuanti viaggi per tutta l’India, percorrendo circa 16.000 chilometri e raggiungendo ogni angolo del Paese. Si racconta che ovunque andasse, una folla di seguaci si radunasse intorno a lui, formando così una nuova comunità. Gli adepti vennero chiamati Sikh, una forma Panjabi del sanscrito sisya, che vuol dire “discepolo”. Altri nove Guru succedettero poi a Nanak, mentre dal decimo Guru in poi Maestro imperituro è il Libro Sacro, il Guru Granth Sahib, cioè il “Libro che è Signore e Maestro”.
“I Sikh – Storia, Fede e Valore nella Grande Guerra” è insomma il tentativo da parte dell’Istituto Internazionale di Studi Sud Asiatici (Isas), organizzatore della mostra assieme allo United Kingdom Punjab Heritage Association (Ukpha), di ripescare dalla memoria le gesta e le tradizioni di una comunità vastissima in tutto il mondo (gruppi Sikh ci sono anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in molti altri Paesi, per un totale di circa 28 milioni di persone), ricordare i loro sacrifici, far rivivere le gesta militari e non dimenticare il messaggio spirituale di Nanak, di cui i Sikh sono custodi. Perché dimenticare è semplice, ma ricordare è bellissimo.