La 73esima edizione della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia ha presentato in anteprima David Lynch: The Art Life, un documentario diretto da Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm che sarà nelle sale italiane a gennaio 2017 e su Sky Arte a marzo. Un viaggio intimo e creativo nella vita personale e artistica di David Lynch, lasciando da parte la figura del regista visionario ed eccentrico che conosciamo. Nel 2004, durante le riprese di Inland Empire, i tre ammiratori di Lynch hanno cominciato infatti a realizzare una serie di interviste per esplorare la natura profonda di un personaggio intrigante e geniale, dalla sua infanzia nella tranquilla provincia americana fino all’arrivo a Philadelphia, prima di essere accolto da Hollywood. La regia è solo una piccola parte della vita di Lynch che si sente soprattutto un artista, o meglio un pittore e trascorre gran parte delle sue giornate nel suo studio sulle colline di Hollywood, dove è ambientato gran parte del documentario. Foto, disegni, estratti dei suoi film e musica si alternano al suo racconto personale per dare vita a David Lynch: The Art Life, un manifesto delle paure, desideri e sogni che abitano il mondo onirico e surreale di una mente creativa che ha conquistato il mondo. Una sorta di testamento e diario privato che Lynch ha voluto dedicare alla figlia di 4 anni Lula. A Venezia abbiamo incontrato il giovane regista Jon Nguyen e la montatrice Olivia Neergaard-Holm che ci hanno raccontato i vari momenti di questo progetto, tra difficoltà, sorprese e attese.
Da dove è nata l’idea di concentrarsi sull’arte di David Lynch per questo documentario?
Dopo 25 ore di intervista abbiamo capito che c’era una buona parte della sua vita dedicata all’arte della pittura. All’età di due anni aveva partecipato a un corso di disegno con le dita e ricordava ancora l’odore della vernice e i colori. Così ha scoperto l’arte e ha continuato a fare l’artista per tutta la vita e abbiamo pensato che forse David Lynch come artista e non come regista fosse una storia che il pubblico ancora non conosceva. I dieci anni passati tra le riprese di Inland Empire e la serie Twin Peaks Lynch li ha passati nel suo studio di pittore, ogni giorno dal momento in cui apriva gli occhi la mattina. La regia rappresenta solo una parte della sua vita.
La sua prima reazione a questo progetto? E che ruolo ha avuto nella scelta delle opere e del materiale che viene mostrato nel documentario?
E’ stato molto felice fin da subito. Ci ha lasciato libero accesso a tutto il materiale e noi abbiamo scelto quello che poteva aiutarci a raccontare questa storia. Lui non ha avuto nessun problema.
Cosa ricordate del primo incontro con lui?
Dieci anni fa ho chiamato un mio amico che era anche amico di David e gli ho chiesto di farmi un favore, e chiedergli se avrebbe voluto fare un documentario, ma lui mi ha risposto un no categorico. Due giorni dopo però mi ha richiamato dicendo che David aveva accettato e non ci potevo credere. All’inizio non era molto a suo agio con le telecamere che lo seguivano ovunque, pensate solo che abbiamo girato 700 ore di materiale. Poi non ci ha fatto più caso e ci ha detto di seguirlo e basta. Jason (Scheunemann) lo conosceva meglio di noi e pensava che fosse meglio aspettare un momento in cui David avrebbe parlato della sua vita privata in modo naturale e così è stato. Quattro anni fa è nata sua figlia Lula alla quale il film è dedicato. Lui non è più molto giovane e ha pensato che questo documentario potesse anche essere un modo per raccontare a lei molte storie. Infatti le 25 ore di girato abbiamo deciso di consegnarle poi a Lula così che un giorno potrà sapere di più sul padre.
Come è avvenuto il montaggio?
Olivia: Abbiamo fatto una serie di interviste e abbiamo cercato di evidenziare un filo conduttore. Avevamo tante storie sui suoi nonni, i genitori e la sua vita fin da bambino, così tante storie che dovevamo per forza sceglierne solo alcune, concentrandoci sulla crescita e la formazione di David, con le varie influenze ed esperienze che hanno scosso la sua vita, fino a quando è diventato un pittore e poi il regista che conosciamo. Le immagini che vedete sono foto, disegni, quadri, e sperimentazioni filmiche che lui ha fatto nel corso degli anni e li abbiamo potuti usare per desumere la narrazione in una forma astratta.
Jon: All’inizio volevo smettere di riprendere perché David viveva a Hollywood e tutti sapevano la sua storia. Quindi, se volevamo che questo documentario avesse un senso, dovevamo puntare i riflettori sulla sua personalità, la sua esperienza da giovane, prima di Hollywood e della celebrità.
Quali sono state le difficoltà nella realizzazione del documentario David Lynch: The Art Life?
Dal punto di vista finanziario io vivo a Copenaghen ma sono americano, quindi non ho potuto contare sui finanziamenti europei. A quei tempi il crowdfunding era agli inizi, così abbiamo chiesto a David di creare un ritratto a tiratura limitata da vendere ai fan e così abbiamo trovato i fondi. Poi per il montaggio e molti aspetti tecnici ci siamo arrangiati da casa.
Cosa hai scoperto di David Lynch che prima non sapevi?
Ho ammirato la sua integrità, non si fa influenzare dalla pressione commerciale e rifiuta il compromesso. Forse per questo è un regista così speciale rispetto agli altri.
Questo documentario è un progetto finito o pensate di continuarlo in qualche modo visto i lunghi tempi di realizzazione?
Credo non sia ancora finito. David è molto impegnato, per questo ci è voluto molto tempo per fare le interviste con pause di diversi mesi. Soprattutto quando ha cominciato a girare il nuovo Twin Peaks è stato molto diffide contattarlo, ma è andata.
Come avverrà la distribuzione di David Lynch: The Art Life?
Abbiamo un accordo di cui non possiamo parlare, ma il documentario sarà presentato anche a Toronto e posso dirvi solo che è prevista un’uscita americana. L’Italia è un mercato di distribuzione ma per il momento sappiamo solo che passerà su Sky Arte a Marzo 2017.
Ci potete dire qualcosa sul ritorno di Twin Peaks?
Purtroppo non posso dire nulla perché ho firmato un accordo di riservatezza, ma vi anticipo che David è al massimo della sua creatività quindi sono ottimista.
C’è un altro artista che ammirate e sul quale vorreste fare un documentario prossimamente?
Jon: Io adoro Bob Dylan e mi piacerebbe molto fare un lavoro simile con lui, ma è molto più riservato ed irraggiungibile di David quindi la vedo difficile.
Olivia: Non saprei ma a me piacciono molto Kate Bush e Patty Smith.
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