Santeria, l’attesissimo album firmato in tandem da Marracash e Guè Pequeno, è stato pubblicato il 24 giugno. Preceduto da una serie di anticipazioni di notizie (risale allo scorso gennaio la prima dichiarazione che i due avrebbero collaborato a un disco in coppia), e da una sorta di “caccia al tesoro” in alcuni luoghi-feticcio della loro città di elezione – Milano – dove i più appassionati e convinti fan dell’uno, dell’altro, o di entrambi hanno potuto ascoltare in anteprima alcune delle quindici tracce che compongono la tracklist recandosi in location specifiche a queste collegate, Santeria ha il grande merito di restituire al rap un ruolo di tutto rispetto all’interno della scena discografica italiana anche grazie all’apporto fornito da dieci produttori diversi che, alternandosi nelle diverse canzoni, garantiscono un eccellente prodotto con beat orecchiabili e un sound che nulla ha da invidiare alle produzioni milionarie d’oltreoceano. Nato come parte di un movimento metropolitano agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, il rap è stato fin da subito un efficace strumento di espressione inizialmente delle comunità nere e ispaniche, ed in seguito della componente giovanile di alcuni dei quartieri periferici delle grandi città; ma trattando temi difficili, raccontando storie di disagio ed emarginazione, il tutto attraverso un linguaggio forte e quotidiano (spesso “di strada”), è stato da sempre oggetto di critiche e snobismo da parte di un certo tipo di pubblico che, magari anche per ragioni anagrafiche, ragiona a “compartimenti stagni”. Come se tutto ciò non bastasse, e malgrado ci siano stati anche momenti altissimi nel corso degli anni legati a questo genere (non ultimo il recente premio Pulitzer per il teatro tributato a Hamilton, musical con una grande parte della partitura in stile rap), purtroppo molti artisti hanno finito per cavalcare l’onda edulcorando i contenuti delle composizioni e piegandosi alle richieste della comunità discografica che richiedeva formule più commerciali, abbassando di fatto la qualità delle proposte.
Marracash e Guè Pequeno invece ripropongono con Santeria un album con reali ispirazioni, in cui i temi trattati raccontano con diretta e immediata sincerità la loro visione della vita (e della musica). In Purdi ad esempio, sono capaci di prendersi una rivincita su quella certa tipologia di colleghi che hanno (s)venduto il genere e il proprio talento per interesse; ma ovviamente non mancano piccoli ritratti umani, storie di quartieri e di periferia, di vita e malavita come in Tony, in Quasi amici o Scooteroni, definito da Pequeno “brano tamarro” e anche “street anthem”. C’è però spazio in Santeria anche per una vena più leggera, scanzonata ed ironica ma non per questo superficiale. In Cantanti italiane per esempio, che in realtà è un brano decisamente complesso. Se apparentemente prende in giro una serie di interpreti femminili che vanno per la maggiore nelle radio italiane, con i due rapper impegnati a confrontarsi su quale sia la cantante con cui vorrebbero… passare il weekend (e si noti che “passare il weekend” è un eufemismo), in realtà è una lucida e tagliente critica rivolta anche in questo caso a un certo tipo di establishment che propone musica di poco valore. Siamo lontani mille miglia dagli attacchi personali di Eminem contro la Aguilera, lì erano insinuazioni volgari e ripicche personali contro una collega, qui i due musicisti riescono a scherzare ed esprimere il loro personale j’accuse usando la più efficace delle armi: la parola. Del resto la frase di Benigni “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la penna, l’uomo con la pistola è un uomo morto” vale anche, e forse soprattutto, per il rap. Discorso a parte infine merita Insta love, dedicata a un certo tipo di relazioni tra adolescenti costruite sui social e qui vissute, lontano dalla vita reale. Relazioni immediate, illusorie, ego-riferite, vuote. Se si vuole che un adolescente prenda coscienza di una tematica come questa, il rap è evidentemente il mezzo più efficace e diretto perché il messaggio arrivi a destinazione. Aiutata da un beat orecchiabile, nel tappeto musicale che accompagna le parole un evidente omaggio a All that she wants degli Ace of Base, Insta love dovrebbe essere ascoltata prima dai genitori che poi dovrebbero farla sentire ai propri figli (invece del contrario). A tutto vantaggio del dialogo tra generazioni. In Quartet, film del 2012 diretto da Dustin Hoffman e ambientato in una casa di riposo per musicisti classici, un anziano baritono dice a una classe di adolescenti a cui sta tenendo una lezione sulla musica: “L’opera è quando pugnalano alla schiena un tizio e questo invece di sanguinare canta. Mi pare, dopo aver svolto molte ricerche in materia, che il rap sia quando pugnalano alla schiena un tizio e questo invece di sanguinare parla”.
Ecco, la descrizione si adatta perfettamente a un album di qualità come Santeria di Marracash e Guè Pequeno, dove – con un sound ineccepibile – si parla di droga, del disagio dei giovani, si racconta il punto di vista di chi ce l’ha fatta e si ricorda di chi non c’è più. Si canta Milano e le sue mille facce: quelle allegre e quelle degradate; si usa l’ironia come strumento di comunicazione e si celebra il fermento metropolitano; si criticano i falsi ideali a cui si svende l’arte e si dà un nome al senso di precarietà che da sempre fa sentire soli e incompresi gli adolescenti. In altre parole si fa musica di qualità. Con buona pace di chi ragiona a compartimenti stagni.