Il bisogno di modificare le fotografie è antico quanto la fotografia stessa, solo il metodo è cambiato. Partendo da questa considerazione, le sale del Metropolitan Museum di New York accolgono dall’11 ottobre 2012 al 27 gennaio 2013 la mostra Faking It – Manipulated Photography Before Photoshop, la prima grande mostra dedicata alla manipolazione delle immagini prima dell’era del digitale, a cura di Mia Fineman. Si tratta di oltre duecento immagini, realizzate dalle origini della storia della fotografia sino agli anni Settanta del XX secolo, che raccontano una bizzarra e divertentissima storia di falsi, di invenzioni, di dirigibili che si schiantano contro l’Empire State Building, di personaggi e oggetti che compaiono e scompaiono nella stessa foto, di spiriti dei defunti che si mettono in posa, di signori che giocano a pallone con la propria testa.
I fotografi espositi a New York hanno usato diverse tecniche di manipolazione, dall’esposizione multipla alla combinazione di più foto, dai fotomontaggi ai ritocchi, effettuati lavorando sia sui negativi che sulle immagini stampate. In ogni caso, il significato e il contesto delle foto sono stati trasformati da un processo di manipolazione.
Faking It si divide in sette sezioni, ognuna incentrata su diverse tecniche di alterazione delle immagini. “Picture Perfect” espone lavori dei fotografi del diciannovesimo secolo che dovevano compensare la limitatezza dei mezzi a disposizione con la loto abilità nel riprodurre il mondo come lo si vedeva a occhio nudo. Nell’era del bianco e nero, molti fotografi aggiungevano pigmenti colorati ai ritratti per dargli maggiore vividezza e realismo. I fotografi di paesaggi, invece, affrontavano un ostacolo diverso: la sensibilità delle soluzioni chimiche impresse sulla pellicola determinava una sovraesposizione dei cieli, rendendo le immagini sfuocate. Per superare questo problema, molti fotografi tra cui Gustave Le Gray e Carleton E. Watkins creavano paesaggi spettacolari stampando due negativi su un solo foglio di carta, uno con la messa a fuoco sulla terra, altro sul cielo.
Questi sono solo esempi delle difficoltà che i primi fotografi si trovavano a fronteggiare. Con il passare degli anni e il miglioramento degli strumenti e delle tecniche a disposizione, anche i problemi dei fotografi sono cambiati. Nella seconda sezione, “Artifice in the Name of Art”, sono in esposizione I lavori realizzati dopo il 1850 quando lo scopo dei fotografi era far apparire le foto come immagini dipinte a mano. La terza sezione, “Politics and Persuasion” espone foto manipolate per fini esplicitamente politici e ideologici mentre la quarta sezione, “Novelties and Amusements”, è una collezione di foto di amatori scattate con l’intento di stupire, intrattenere, stordire il pubblico.
“Pictures in Print” rivela il modo in cui giornali, riviste e pubblicità hanno alterato, migliorato e qualche volta anche fabbricato immagini per simulare eventi mai avvenuti. Nella sesta sezione, “Mind’s Eye” sono esposti i lavori che vanno dal 1920 al 1940 di artisti come Herbert Bayer, Maurice Tabard, Dora Maar, Clarence John Laughlin, e Grete Stern, che hanno usato la fotografia per evocare stati della mente, scenari da sogno e mondi immaginari.
L’ultima sezione è dedicata a “Protoshop” e raccoglie fotografie dalla seconda metà del 20esimo secolo di Yves Klein, John Baldessari, Duane Michals e Jerry Uelsmann e altri autori. Immagini che testimoniano quanto il mondo dell’arte fosse profondamente coinvolto nella riflessione sull’ambiguità dell’immagine fotografica, proprio nel momento appena precedente l’avvento dell’era digitale e dell’invasione di Photoshop, iniziata nel 1990.
Piera Vincenti