John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen, con la regia di Piero Maccarinelli e in scena un cast d’eccezione, è al Piccolo Teatro Grassi di Milano dal 7 al 18 novembre 2012: un testo straordinario che consente a grandi interpreti di suonare tutte le corde dell’animo. Per il pubblico, la riscoperta di un classico, qui riletto, diretto e interpretato in maniera fortemente contemporanea. Grandi ambizioni muovono il protagonista di questo testo di Ibsen. Come nelle sue ultime opere, il centro di interesse è la creazione di un percorso di vita: grandi uomini con grandi progetti che si scontrano con il senso ultimo del loro operare, rispetto a sé e rispetto alla vita.
Borkman, brillante banchiere incorso in un fallimento finanziario di grandi dimensioni, da genio della finanza si ritrova ad essere un fallito. Scontati gli otto anni di carcere, toccato dal disonore, dissolta la stima degli altri nei suoi confronti, non è disposto a considerarsi vinto e continua a credere nel valore demiurgico di quella che lui considera la sua missione. Si sente un creatore finanziario, quasi un artista della finanza, per la potenza visionaria del suo intendere. Con lui, il suo solo amico, Foldal, un suo ex collaboratore, autore di un testo mai pubblicato, creatore quindi a sua volta di qualcosa che non vedrà mai completamente la luce.
La depressione collegata alla creazione sembra affacciarsi fra le pagine del testo, che incrocia la vicenda del finanziere a quello delle due sorelle Rentheim, la moglie e l’ex amante consumata dalla malattia. Due sorelle che hanno avuto lo stesso uomo, John Gabriel, senza tuttavia averlo mai completamente posseduto. Il confronto è sulla vita, chi dà la vita e chi la rende appetibile, piena, degna di essere vissuta; e chi invece non ha potuto avere la gioia di dare la vita.
E poi l’altra generazione, i figli ventenni con molte meno speranze creative, consci della limitatezza del loro agire nel mondo. Si crea, ma non per l’eternità. Si deve soprattutto bruciare la vita, aggredirla a morsi e viverla non nell’attesa del compimento di un progetto, ma nella certezza della sua violenza e brevità. Gli ideali grandi di Borkman e delle sorelle Rentheim non valgono né per Frida Foldal, né per il giovane Borkman. Un’analisi lucida, filosofica e poetica, ma anche concretamente feroce e tragicomica del destino che fa di ognuno un prevaricatore, un umiliato e offeso, che fa di ogni affermazione vitale anche un gesto di violenza.
Dichiara il regista Piero Maccarinelli: «Credo che tutto questo sia un materiale violentemente contemporaneo, con un plusvalore, se ad interpretare questo grande testo è una generazione di attori che ha potuto sfiorare le utopie da un lato e che ne ha visto la devastazione dall’altro. Un Borkman della mia generazione dunque, dove l’attrazione erotica, l’eros ed il thanatos siano generazionalmente percorribili. Ed ecco la scelta di Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia e Lucrezia Lante Della Rovere nei tre ruoli principali. Un Borkman per provare a comunicare ai nostri contemporanei le geniali parole di Ibsen, in un’ambientazione volutamente essenziale e più vicina a noi».