CON ANDREA DE CARLO A VILLA METAPHORA

Andrea De Carlo torna ad entusiasmare i lettori con un nuovo imperdibile romanzo.  Ancora una volta, precisamente per la diciassettesima, De Carlo cerca di raccontare la sua fetta di mondo. “Villa Metaphora” è  una storia fatta di piccole storie, di destini che si incrociano e di vite che si fondono e si rincorrono fino a raggiungere la storia di ognuno di noi.

Ogni suo libro ha una  genesi ben precisa. Qual è quella di questo suo ultimo romanzo?
Questa storia mi accompagnava oramai da tempo: i primi appunti li ho presi circa otto anni fa, ma erano rimasti lì. Poi, mi si sono ripresentati all’improvviso. Volevo scrivere un romanzo che mi permettesse di parlare  del mondo di oggi, di dove ci troviamo e di ciò che siamo. Ma questa è un’idea vasta: è assurdo poter pensare di parlare dell’intera umanità. Il mondo è fatto di milioni di persone che a loro volta hanno infinite prospettive del mondo stesso!

Da qui quindi l’idea di scegliere una parte di mondo e ospitarla su di un’isola immaginaria?
Come ho detto prima l’idea di mondo è vasta, bisogna per forze maggiori identificarsi in qualcosa. Ecco quindi che ho scelto di isolare una parte di mondo, trovando proprio su un’isola immaginaria una mia prospettiva. Ho cominciato così ad inventarmi un posto a metà tra la Sicilia e l’Africa. Quella zona in realtà è piena di isole che avrei potuto scegliere per ambientarci una storia, ma un luogo reale ha una sua origine e io non volevo legami. Ho preferito inventare un posto e farne ciò che mi andava. Ho delineato  una mia storia, ho disegnato la mia geografia e alla fine ho anche dato vita ad una nuova lingua. Ho generato  in questo modo l’isola di Tari, un luogo che per più di un secolo nessuno era riuscito a trovare.

E su quest’isola è nata poi l’idea di “Villa Metaphora”…                                      
Esatto, proprio così: Villa Metaphora era la dimora di un barone eccentrico degli anni ‘40, rilevata in seguito da un famoso architetto milanese che la trasforma in una specie di resort all’avanguardia che costa 5 mila euro a notte. Si capisce fin dall’inizio, insomma, che il target per un posto del genere è solo per persone estremamente particolari: non solo ricche, ma anche estremamente sofisticate. Persone che cercano un posto fuori dal mondo, lontani da tutte le pressioni quotidiane. In pratica parliamo di una specie di stazione spaziale più che di una villa!

Parliamo dei personaggi della storia: come sono venuti fuori?
Volevo che i rappresentanti umani fossero tutti diversi per nazionalità, amore, sesso. Avrei potuto scegliere altri personaggi, ma poi ho deciso questi. Non è stato un ragionamento razionale, ma istintivo. Non sono stato io a scegliere loro, ma loro a scegliere me e la mia storia. I personaggi sono tutti agli antipodi tra loro: c’è il banchiere tedesco implacabile, l’ attrice americana sboccata e strafatta, il cuoco spagnolo che soffre di attacchi di panico, la giornalista francese raffinata ma maniaca degli elenchi numerati. Insomma, ognuno di loro ha una ragione diversa per essere lì. Ciò che mi piaceva era far coesistere realtà così differenti per un forzato, ma breve, periodo di tempo. E attraverso questo eccentrico gruppo di persone ho voluto raccontare il mondo così come lo sento io, con le sue infinite contraddizioni e i suoi conflitti.

Lei crede che tutti questi personaggi si siano incontrati per una semplice coincidenza?
Personalmente sono convinto che le coincidenze non esistono, tutto accade perché alla base c’è un disegno già stabilito che si deve solo concretizzare. Nella storia, per esempio, ricorre a vari livelli il numero sette: sette sono le terrazze della villa, la storia inizia il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate e soprattutto multiplo di sette. Ma anche queste non le ritengo coincidenze: sono solo episodi che racchiudono una convergenza di ragioni, di motivi, di fatti e di azioni che possiamo capire solo alla fine.  E’ anche di questo che parla la storia.

Prima ha detto che, tra le tante cose, ha dovuto inventare una lingua: quanto le è risultata difficile quest’operazione?
Non è stata per niente semplice, soprattutto perché ad una lingua bisogna pur dare un minimo di coerenza. Per questo motivo, come prima cosa, ho cominciato a studiare le cosiddette lingue artificiali, scoprendo che esistono migliaia di codici che nel tempo gli uomini si sono inventati nella speranza di trovare un linguaggio universale. Nel mio libro ho inventato una sorta di esperanto naturale, nato cioè per caso. La lingua di questo romanzo ha radici sicule – latine, ma troviamo anche un po’ di francese, maltese, spagnolo. Per rendere il tutto credibile, sono presenti nel testo proverbi in questo fantomatico “tarese” e personaggi che parlano un italiano “taresizzato”.

Il personaggio di Lara Laremi di “Villa Metaphora” ha per caso qualche legame simbolico con l’amato Guido Laremi di uno dei suoi romanzi più famosi “Due di Due”?
Sì, c’è indubbiamente un legame simbolico: c’è una vera e propria parentela tra i due, che non svelo per non rovinare la storia. In realtà ho fatto questa scelta per giocare con i miei lettori più affezionati. In molte delle recensioni uscite in questi giorni non era stato nemmeno notato questo cognome. E va bene così: volevo che fosse una cosa molto intima. Un segnale forte solo per chi conosce realmente Guido Laremi. Mi divertiva anche l’idea che i lettori ne sapranno sempre di più dei miei stessi personaggi.

Sarà pur sfuggito a qualche recensore, ma “Due di due” è sicuramente uno dei suoi romanzi più amati. Quando l’ha scritto era consapevole che grazie a quel lavoro avrebbe segnato intere generazioni?
Sinceramente no, “Due di due” è una storia che ho scritto semplicemente perché mi apparteneva molto. Ero convinto che potesse interessare solo a pochissimi altri. E invece la mia sorpresa più grande è stata vedere come continui ad interessare soprattutto ragazzi che hanno l’età dei protagonisti all’inizio del romanzo.

“Villa Metaphora” è il suo diciassettesimo romanzo. Dall’alto della sua esperienza  quale crede sia il potere della letteratura?
Una delle cose che succede scrivendo o leggendo un romanzo è il poter abbandonare la propria prospettiva di mondo.  E questa è un’esperienza che non ci capita quasi mai. Immaginarci nei panni degli altri è una cosa che facciamo poco: i romanzi offrono sempre quest’ occasione. Il rapporto con la letteratura dovrebbe sempre essere un rapporto vivo, di grande libertà. Non esiste dimensione più libera di questa.  La lettura è la chiave per capire il mondo: è lo specchio del mondo stesso! Uno specchio che riflette solo l’angolo in cui si trova in quel momento. Nessun romanzo ha il potere di raccontarti il mondo così com’è, nessun romanziere ha questa pretesa. Insomma, non raggiungeremo la piena verità, ma di sicuro, grazie al potere della letteratura sperimenteremo sempre più concretamente cos’è la vera libertà!

Maria Rosaria Piscitelli

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