Oggi si vota negli Stati Uniti per le presidenziali e si prevede un duello all’ultimo voto. Tutti i sondaggi danno Barack Obama in lieve vantaggio sullo sfidante Mitt Romney ma nessuno si sbilancia a favore dell’uno o dell’altro candidato, essendo i due divisi da una manciata di voti. In Florida, dove c’è la posta più alta con 29 grandi elettori, si rischia il pareggio. Qui, come in New Hampshire e Pennsylvania i seggi si chiuderanno alle 20. Per Romney la Florida rappresenta uno stato cruciale, come la Virginia, con 13 grandi elettori, mentre Obama punta soprattutto sull’Ohio, che mette in palio 18 grandi elettori. Se dovesse aggiudicarsi questo stato, spiegano gli esperti della Cnn, Obama potrebbe anche perdere il Colorado, la Virginia e la Florida, riuscendo comunque a sconfiggere Romney, che guarda con interesse anche al New Hampshire, dove ha deciso di concludere il suo tour elettorale.
Il presidente, invece, ha tenuto l’ultimo comizio in Iowa a Des Moines, da dove tutto era iniziato nel 2008. Una sorta di scaramanzia per Obama che, con uno stile e dei contenuti completamente diversi dal suo sfidante, va in giro a caccia dell’ultimo voto, quello che potrebbe rivelarsi decisivo per la vittoria dell’uno o dell’altro candidato.
E mentre i due sfidanti duellano a colpi di comizi, salendo sul palco quasi in contemporanea per ribadire i concetti già espressi durante tutta la campagna elettorale, i sondaggi continuano a diffondere dati, spesso contrastanti. Gallup dà il candidato repubblicano avanti di appena un punto, mentre Wall Street Journal/Nbc e Washington Post/Abc danno Obama avanti di un punto. Ma a far ben sperare i democratici è il dato relativo ai grandi elettori. Per andare alla Casa Bianca ne occorrono 270 e al momento il presidente è in vantaggio su Romeny per 303 a 235. Uno scarto di ben 68 grandi elettori che non fa comunque dormire sonni tranquilli a Obama. Il tempo di guardare ai sondaggi e pianificare strategie è finito. Adesso è il momento del silenzio e dell’attesa, quella che tra poche ore porterà a conoscere il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti.
20 ANNI DI GRANDI PRESIDENTI E L’INCUBO DI UNA NUOVA FLORIDA 2000
Obama annovera tra i suoi sostenitori un fan d’eccezione, Bill Clinton, che fu eletto presidente nel 1992 battendo il presidente in carica George H. W. Bush. Il suo mandato interrompeva 12 anni di governo repubblicano. Uomo delle grandi promesse, dovette ridimensionare il suo programma, non riuscendo ad attuare la riforma del sistema sanitario annunciata in campagna elettorale. In politica estera, si affidò al binomio democrazia-mercato per affermare la potenza degli Usa nel mondo a seguito della fine della Guerra fredda, impegnandosi per la pace e democrazia nel mondo. La prima presidenza Clinton coincise con un periodo di crescita economica e sviluppo industriale. Ma dal 1994 il presidente dovette scontrarsi con il Congresso, dominato dai repubblicani conservatori. Ciò non impedì a Clinton di essere rieletto nel 1996 sconfiggendo il candidato repubblicano Bob Dole. Nel 1998 fu colpito dallo scandalo Monica Lewinsky.
Tra le elezioni più contrastate della storia degli Stati Uniti ci sono quelle del 2000, con George W. Bush che si aggiudicò la vittoria grazie ai 537 voti in più rispetto ad Al Gore ottenuti in Florida. Ciò consentì a Bush di guadagnare i 25 grandi elettori che allora assegnava lo Stato ma per ottenere il verdetto definitivo bisognò attendete l’11 dicembre quando, dopo 36 giorni di ricorsi e controricorsi legali, la Corte suprema degli Stati Uniti, con il risicato margine di 5 voti a favore e 4 contro, ordinò di bloccare il riconteggio manuale in tutte le contee della Florida assegnando così la Casa Bianca al candidato repubblicano. Gore globalmente ebbe 539.947 voti in più di Bush, ma il meccanismo dei grandi elettori assegnò a Bush 271 voti e a Gore 267. Il candidato repubblicano, quindi, non fu eletto dal popolo ma dal Colleggio.
Nel 2004, anche grazie alla campagna antiterrorismo portata avanti dopo l’11 settembre, Bush fu rieletto ottenendo 286 Grandi Elettori contro i 252 del suo sfidante John Kerry, candidato democratico alla Casa Bianca.
Nel 2008 la svolta storica con l’elezione del primo presidente afro-americano della storia, Barack Obama, che era dato per sicuro vincitore già molto prima delle elezioni, dato il notevole vantaggio accumulato nei confronti del candidato repubblicano John McCain. Per il presidente si trattò di un trionfo confermato dai numeri, con 365 grandi elettori conquistati contro i 173 del suo avversario. Quasi un plebiscito per Obama, che questa volta non avrà la strada spianata come quattro anni fa e si troverà a soffrire e sperare fino alla fine.
Piera Vincenti