Quanto sta accadendo all’Ilva di Taranto è inverosimile, anche perché questa situazione pone ancora una volta il nostro Paese sotto i riflettori del mondo; purtroppo non per un fatto positivo.
L’Ilva chiude e a rischio ci sono migliaia di posti di lavoro: intorno allo stabilimento ruota un fitto apparato economico che sostiene non solo il Sud ma l’Italia intera. Infatti si tratta dell’impianto siderurgico più importante del Paese e il secondo d’Europa; perciò la sua chiusura mette certamente in ginocchio l’economia nostrana già appiattita da una situazione non proprio rosea. E se da un lato c’è il problema del lavoro – che non può certo essere risolto con una cassa integrazione per i 5mila lavoratori, dato che ci sono altre imprese, con operai e personale, che si reggono sull’Ilva – dall’altro si avverte l’impellente necessità di risanare l’ambiente, in quanto, dopo sette anni di indagini, si è scoperto che non sono state rispettate le norme basilari per la tutela della salute pubblica. L’impianto sorge in uno dei più grandi quartieri di Taranto. E a questo punto alcune domande sorgono spontanee: come mai non sono stati effettuati controlli a tappeto nel corso di questi lunghi anni? L’Ilva, nata dall’iniziativa di industriali del Nord, è passata allo Stato che ha aperto gli stabilimenti di Genova, Napoli e Taranto. Infine negli anni Ottanta è stata rilevata dal gruppo siderurgico Riva. Possibile che in questo periodo nessuno ha effettuato verifiche? E i funzionari dello Stato nel frattempo dove erano? Domande a cui nessuno vuole dare una risposta, perché come è nel costume italiano si è già trovato il capro espiatorio…
Intanto domani si svolgerà il consiglio di amministrazione dell’Ilva e l’azienda incontrerà i sindacati, mentre giovedì, alle 15, a Palazzo Chigi ci sarà un incontro tra il Governo le parti sociali e gli amministratori locali. Staremo a vedere.
Cultura e Culture, nel pieno rispetto della sua linea editoriale, manterrà alta l’attenzione su una vicenda che riguarda tutta l’Italia.
Maria Ianniciello