PENSIONE? E CHE PAURA!

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Pensioni pubbliche basse, la vecchiaia preoccupa gli italiani. Già oggi la previdenza pubblica è fatta di pensioni basse. Degli 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia, più di 4 milioni (oltre il 35 per cento) beneficia di un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro. Di questi, 741mila (il 6,4 per cento) ricevono meno di 500 euro al mese. E il futuro non sarà più roseo. I lavoratori italiani pensano che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 55 per cento del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avrà una pensione inferiore al 50 per cento del reddito da lavoro e il 43 per cento che al massimo sarà compresa tra il 50 per cento e il 60 per cento del reddito. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per la Covip. In particolare, i dipendenti pubblici si aspettano una pensione pari al 62 per cento del loro reddito, i dipendenti privati pari al 55 per cento e gli autonomi al 51 per cento. I giovani di 18-34 anni prevedono che avranno una pensione pari al 54 per cento del reddito e i più anziani pari al 60 per cento. Secondo l’opinione del 46 per cento degli attuali occupati si va incontro a una vecchiaia di ristrettezze, senza grandi risorse da spendere: il 24,5 per cento ritiene che non potrà vivere nell’agiatezza, anche se qualche sfizio potrà toglierselo, il 21,5 per cento afferma che la situazione è molto incerta e non riesce a immaginare come sarà la propria vecchiaia. Solo l’8 per cento pensa che potrà godersi un po’ di serenità anche grazie a buoni redditi.

Le incertezze che fanno paura. L’84 per cento dei lavoratori italiani è convinto che le regole della previdenza cambieranno ancora. La loro variabilità genera inquietudine e, nella crisi, le pensioni diventano il catalizzatore delle paure. L’insicurezza riguarda anche il percorso previdenziale personale: il 34 per cento dei lavoratori (percentuale che sale al 41 per cento tra i dipendenti privati) teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25 per cento di dover affrontare una fase di precarietà con una contribuzione intermittente, il 19 per cento di avere difficoltà a costruirsi, oltre la pensione pubblica, fonti integrative di reddito, come ad esempio la previdenza complementare. Lo «stop and go» normativo mina la fiducia nella certezza delle regole della previdenza e nella sua capacità di dare sicurezza alle persone in vista di una prolungata longevità. Nella crisi la previdenza, come sistema e come percorso personale, catalizza paure e incertezze, creando ansia piuttosto che sicurezza.

Il secondo pilastro? Meglio il «fai da te» che la previdenza complementare. Come fonte di reddito per integrare la pensione pubblica, il 70 per cento dei lavoratori indica forme di risparmio diverse dalla previdenza complementare (acquisto diretto di strumenti finanziari, investimenti immobiliari, polizze assicurative). Solo il 16,5% dichiara di preferire una forma di previdenza complementare (dai Fondi pensione ai Piani individuali di pensionamento). Ad oggi la previdenza complementare non è percepita dai lavoratori italiani come lo strumento fondamentale di integrazione della previdenza pubblica, non è identificata quindi come il secondo pilastro voluto dalla legge.

La previdenza complementare, questa sconosciuta. Sono 6 milioni i lavoratori che hanno una conoscenza sufficiente della previdenza complementare, mentre 16 milioni di fatto non la conoscono o la conoscono male. La scarsa consapevolezza tra i lavoratori chiama in causa i loro canali informativi: il sindacato, al quale si rivolgono soprattutto dipendenti pubblici (47 per cento) e privati (36 per cento); poi gli interlocutori privilegiati dei lavoratori autonomi, gli assicuratori (23 per cento) e le banche (20 per cento); i datori di lavoro, importanti per i dipendenti privati (13 per cento). Internet è una fonte informativa per il 15 per cento degli intervistati.

La previdenza complementare, così poco conosciuta, non suscita tra i lavoratori la fiducia necessaria a far sì che vi investano i loro risparmi. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, al primo posto emergono quelli economici: il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28 per cento non si fida degli strumenti di previdenza complementare, il 19 per cento si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9 per cento preferisce lasciare il Tfr in azienda.

La previdenza complementare non decolla per difficoltà di contesto (i redditi bassi, il decrescente tasso di risparmio e la paura di perdere il lavoro) e per difficoltà specifiche, come la percezione di un costo aggiuntivo che andrebbe a pesare su redditi già stressati, la scarsa informazione, la poca fiducia. La previdenza complementare rimane così poco compresa e ancora troppo poco spiegata, quindi meno attraente agli occhi dei lavoratori rispetto alle forme tradizionali di impiego dei risparmi (dal mattone ai Bot). Allora si fa sempre più urgente l’avvio di campagne informative efficaci che, con il coinvolgimento degli interlocutori di fiducia dei lavoratori, possano valorizzare meglio il ruolo del secondo pilastro previdenziale.

Questa è un’anticipazione dei risultati della ricerca «Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena», realizzata dal Censis per la Covip, che verrà presentata a gennaio.

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