BAMBINI CHE NON FANNO NOTIZIA

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Ci sono bambini e bambini. Ci sono i bambini che fanno notizia, quelli che quando vengono assassinati finiscono sulle prime pagine dei giornali, quelli per cui tutto il mondo piange, esprime dolore e commozione, quelli le cui vicende suscitano indignazione e desiderio di cambiamento. E poi ci sono gli altri, i bambini che non fanno notizia, quelli la cui morte al massimo merita un piccolo trafiletto, quelli per cui nessuno piange e si indigna.

Il riferimento alla cronaca recente è evidente. La storia del massacro alla Sandy Hook Elementary School in Connecticut ha fatto il giro del mondo: un ventenne ha sterminato un’intera classe provocando 26 morti di cui 20 bambini. Un fatto gravissimo, da condannare senza riserve. Un episodio che ha commosso l’America e il mondo, che si è mobilitato con attestati di solidarietà, veglie, link condivisi sui social network. Il presidente Barack Obama, che per la quarta volta durante il suo mandato si è trovato a fare i conti con una strage nelle scuole, si è commosso e ha pianto in diretta tv invocando giustizia e la revisione della legge sulle armi.

Ma quanti hanno pianto, si sono mobilitati e hanno condiviso link per le 10 bambine afghane morte a causa di una mina anticarro esplosa mentre raccoglievano legna nel bosco? Anche quella è una strage che ha colpito piccole innocenti, tutte di età compresa tra i 9 e gli 11 anni, ma nessuno o pochi si sono indignati di fronte all’ennesimo atto di violenza perpetrato ai danni dei bimbi nei Paesi del cosiddetto terzo mondo. Ogni giorno milioni di bambini muoiono nel silenzio e nell’indifferenza generale a causa di malnutrizione, scarsa igiene, malattie che in occidente sono state debellate da almeno un secolo. Tanti altri sono le vittime di guerre fratricide che si consumano da anni nel cuore dell’Africa o in Medioriente. Quanti bambini hanno già perso la vita nel conflitto tra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza? E chi ricorda il caso degli oltre 400 bambini massacrati in Siria nei mesi convulsi della repressione? Pochi, ma la sensazione è che tantissimi invece ricorderanno a lungo i 20 bambini americani morti in Connecticut.

La domanda è: esistono bambini di serie A e bambini di serie B? Perché non a tutti è riconosciuta pari dignità, nella morte se non nella vita? La sensazione è che la risposta sia, ancora una volta, nei media e nella rappresentazione che forniscono del mondo e dell’altro, che è sempre troppo vicino o troppo lontano affinché possiamo conoscerne le differenze e le specificità. I media, di per sé strutturalmente amorali (non immorali), tendono a farci indentificare con gli americani, vicini a noi per cultura e stile di vita, tanto che i loro drammi e i loro dolori diventano i nostri. Quella stessa tecnologia che ci avvicina a chi è simile a noi, ci allontana da chi percepiamo come diverso. Afghani, palestinesi, africani ecc. sono rappresentati in conformità con i nostri preconcetti. Le immagini di guerre, di corpi mutilati, di bambini con il ventre gonfio e le mosche sugli occhi sembrano appartenere a un mondo distante, separato, ma ci sono diventate talmente familiari che, anziché generare indignazione e rabbia, provocano soltanto indifferenza verso quelli che sono drammi e orrori ben più gravi della sparatoria nella scuola in Connecticut.

I bambini restano bambini, ovunque si trovino. L’innocenza violata, i diritti negati, la vita spezzata sono atti da condannare sempre e comunque, sia che si tratti di sani fanciulli americani con prospettive di vita brillanti, si che si tratti di povere ragazzine che, nella durezza della loro terra, non hanno mai conosciuto l’infanzia e la spensieratezza, né possono ambire a un futuro migliore.

Piera Vincenti

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