Una nuova mostra e un nuovo sistema illuminotecnico al Gabinetto Disegni e stampa degli Uffizi. Apre domani, 18 dicembre 2012, al piano nobile dell’edificio vasariano, la mostra “Rembrandt visto da Morandi” curata da Marzia Faietti (direttrice dello stesso Gabinetto) e Giorgio Marini, che resterà aperta durante tutto il periodo delle feste natalizie e di fine anno, fino al 18 marzo 2013 (ingresso con il biglietto della Galleria degli Uffizi; orario: dal martedì alla domenica ore 8,15-18). Partendo dall’esperienza dalla mostra bolognese del 2006 (intitolata “Rembrandt e Morandi: mutevoli danze di segni incisi”), Faietti fa nuovamente riferimento all’artista emiliano per “guardare Rembrandt” e “per capire il segreto della loro lontanante vicinanza”. Questa sorta di confronto ravvicinato avviene attraverso 40 opere (20 di Rembrandt e 20 di Morandi) in mostra nella sala espositiva del Gabinetto intitolata a Edoardo Detti e la cui visione sarà esaltata dal nuovo sistema di illuminazione che entra in funzione proprio domani.
Che Morandi, proprio agli inizi della sua formazione autodidattica come incisore, si fosse interessato a Rembrandt è risaputo. Nella sua biblioteca non mancavano pubblicazioni sull’artista olandese, mentre nella collezione figuravano almeno cinque incisioni. Morandi, dunque, deve aver tenuto sotto gli occhi a lungo quegli autentici capolavori di bravura tecnica tesi a descrivere la complessa ricchezza della realtà fenomenologica, ma poi, quando si risolse a incidere, parve, con un colpo d’ala improvviso, liberarsene: all’opulenza tecnica e descrittiva di Rembrandt oppose l’estrema rarefazione della “sua” natura, rinunciando a ogni complicata commissione di acquaforte, puntasecca e bulino per puntare quasi esclusivamente, dopo le sperimentazioni tecniche degli anni fra il 1921 e il 1923, sulle acqueforti.
Lamberto Vitali, che nel 1957 dedicò all’opera grafica di Morandi una monografia ancora oggi fondamentale, parla, in effetti, di un momento rembrandtiano, cui appartengono soprattutto stampe dei primi anni Venti. Ma l’accostarsi di Giorgio Morandi a Rembrandt segue le strade, più nascoste e impervie, dell’emulazione, piuttosto che quelle, più ostentate e scontate, dell’imitazione e, per certi versi, ci ricorda il cammino sapientemente imboccato dal maestro olandese in direzione delle incisioni di Lucas van Leyden e di Dürer. Il punto di incontro con Rembrandt, Morandi lo rintraccia, infatti, soprattutto sul piano della verità del segno, che non vuol dire ricerca di una vicinanza iconografica, stilistica o morale, ma emulazione delle potenzialità espressive della linea incisa.
L’unica volta che si ispirava a Rembrandt anche dal punto di vista iconografico, con la sua Conchiglia del 1921, Morandi lo farà emulando (non copiando) la sola natura morta dovuta all’olandese, quel conus marmoreus del 1650, che per la sapiente “ricreazione” dell’artista pare cambiare pelle e dal mondo dei naturalia trasmigrare in quello degli artificialia. Morandi stesso, nella nota intervista rilasciata a Mangravite il 25 aprile del 1957 per “Voice of America”, aveva asserito: «Per me non vi è nulla, cioè ritengo che non vi sia nulla di più surreale e nulla di più astratto del reale».
Contestualmente alla mostra, inizierà a funzionare il nuovo sistema d’illuminazione della sala Detti. Le nuove sorgenti, a luce diretta a led con ottiche ad angolo solido differenziato, evidenziano sulle pareti la fascia espositiva, controllandone il livello di illuminamento previsto dagli standard per la conservazione delle opere su carta.