Due grandi appuntamenti ieri al Festival delle scienze 2013, che si sta svolgendo dal 17 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma e che si chiude oggi. Il tema è la felicità. Gli incontri con il neuroscienziato David Linden e con l’economista indiano Amartya Sen hanno riservato non poche sorprese.
«Eravate qui per sentire parlare di felicità, invece ho parlato soprattutto di economia. Posso solo dire che per arrivare ad avere un’Europa felice, occorre occuparsi di cose tristi. Avrei voluto che fosse stato altrimenti». Queste le parole di Amartya Sen, Thomas W Lamont University Professor of Economics and Philosophy alla Harvard University e Premio Nobel per l’Economia nel 1998. Si scusa con il numeroso pubblico – che ha voluto guardare per tutta la durata del suo intervento chiedendo che fossero lasciate accese le luci in sala – per aver incentrato gran parte del suo discorso sulle questioni economiche che attanagliano l’Europa. «In effetti – dice Sen – il titolo di questa conferenza, più che “Felicità e disuguaglianze” poteva essere “Felicità e istituzioni sociali” o “Infelicità e istituzioni europee”». È infatti alla profonda crisi economica europea, alle politiche di deflazione e alle misure di austerità adottate da molti Paesi dell’Unione, che il Premio Nobel si è concentrato a lungo durante il suo discorso. «L’Europa – prosegue Sen – ha bisogno di un grande cambiamento. Un Paese da solo – la Grecia, il Portogallo o l’Italia – può non essere in grado di cambiare la potente delusione nella quale i leader politici sembrano essere incarcerati». Sen ha voluto ribadire con forza un concetto già espresso in passato, ma che purtroppo ha ancora bisogno di essere sottolineato, e cioè che il welfare state necessita di riforme, non di austerità, e che vi è un forte bisogno di ripensare tutta la materia riguardante la politica europea, rimuovendo le strategie restrittive che creano disoccupazione, minano i servizi pubblici e di fatto bloccano la ripresa economica. Per arrivare all’analisi dell’attuale “disastrosa” situazione in cui versa l’Europa, Sen ha voluto partire con una citazione dal Purgatorio di Dante: “O umana gente, nata per volare in cielo, perché cadi al primo soffio di vento?”. Perché, infatti, l’uomo non riesce a sfruttare appieno le sue potenzialità di condurre una vita soddisfacente, di essere felice e libero di scegliere che tipo di vita fare? Secondo Sen la ragione sta nella natura della società in cui viviamo, ed è al ruolo dei mercati e delle istituzioni statali e regionali che bisogna guardare per comprendere come si sia potuti arrivare al disastro e all’inaccessibilità alla felicità, soprattutto in Europa. Il Premio Nobel ha poi criticato il revival delle teorie utilitariste, per affermare che l’etica sociale non può essere basata soltanto sul criterio della felicità. La felicità, nel senso di più piacere e meno dolore, da sola non serve a spiegare il livello di benessere individuale, ed è attualmente lontano dall’essere un buon indicatore di benessere collettivo poiché non tiene conto di coloro che sono stabilmente privati dei loro diritti, delle donne nelle società sessiste, degli oppressi, degli emarginati, dei precari, da tutti coloro, cioè, che sono ormai allenati a trarre piacere dalle cose minime per rendere la propria vita sopportabile. Lo sguardo di Sen sul termine felicità si è espresso in maniera molto più ampia, abbracciando la filosofia spontanea di Gramsci, e giungendo a una possibile declinazione europea del termine, con un’acuta analisi degli attuali problemi dei paesi dell’Unione.
Diverso invece il discorso di David Linden: «Sono un biologo! Non so niente della felicità. Il piacere – afferma – è argomento più immediato, può essere misurato su scale temporali, e soprattutto esistono studi scientifici che permettono di comprenderlo». Proprio sulle interconnessioni tra le varie regioni dell’encefalo e sul circuito del piacere nella corteccia mediale prefrontale, ovvero quella regione del cervello in cui vengono registrate le esperienze gratificanti, il neuroscienziato americano ha cercato di fare luce nel corso del suo intervento. Che cosa accade al nostro cervello quando soddisfiamo i nostri bisogni primari come mangiare, bere, fare sesso? E perché quando assumiamo alcool, droghe, o fumiamo una sigaretta abbiamo lo stesso risultato? Succede anche quando facciamo esercizi fisici o compiamo buone azioni? La risposta è sì, ed è chimica, avendo la sua ragione nel rilascio di dopamina nel cervello quando eseguiamo azioni piacevoli. Per illustrare un argomento così complesso, Linden ha fatto ricorso, fin dalle prime battute, ad aneddoti divertenti di cui egli stesso è stato protagonista. Nel ’98 – ha raccontato il professore – durante una vacanza a Bangkok ha dovuto subire le insistenti domande di un indigeno alla guida dei tradizionali tuk tuk, le motorette a tre ruote, che mentre lo accompagnava in albergo gli chiedeva con differenti toni di voce se volesse divertirsi in qualche modo: una donna, un uomo, un trans, droga, combattimenti tra galli. Trascurando l’illegalità delle proposte, c’era qualcosa che univa quelle offerte. Che cosa? Molto semplice, il vizio. E cos’è il vizio se non una ricerca reiterata del piacere? Potenzialmente tutte le azioni che attivano il circuito del piacere, sono in grado di sviluppare dipendenza e potenzialmente, in percentuali diverse, tutti possiamo svilupparne una. Dipende da fattori genetici (per il 40 per cento) e da esperienze di vita, fattori ambientali, stress. Gli studi hanno dimostrato che l’incidenza della dipendenza sull’uomo è del 4 per cento per l’alcool, 8 per cento per la cannabis, 25 per cento per l’eroina, 80 per cento per il tabacco. Spiega Linden, inoltre, che se chiedessimo a tre soggetti affetti da dipendenza – un giocatore d’azzardo, un eroinomane, un sex addicted – di descrivere le sue manifestazioni, togliendo poi i riferimenti specifici al gioco, alla droga e al sesso, nessuno sarebbe in grado di capire verso cosa i tre soggetti sono dipendenti. Questo perché le traiettorie sono simili, per gli effetti che producono e per il loro essere in grado di modificare per sempre i circuiti del piacere. Persino gli animali possono sviluppare dipendenza, poiché anche gli animali sono attratti dal piacere anche quando esso non ha alcuna connessione col cibo o con l’accoppiamento. Questo perché la dipendenza è un processo di apprendimento: si torna verso la stessa cosa perché si impara a riconoscerla come fonte di piacere. Gli studi hanno poi dimostrato che così come i vizi funzionano le virtù, e che l’esercizio fisico attiva i circuiti del piacere così come il compiere buone azioni, fare beneficienza, occuparsi degli altri. Sostenere, dunque, che la beneficienza non risponde al piacere di essere riconosciuti come persone buone, secondo la scienza non è possibile.