Dopo una lunga attesa l’ultimo capolavoro di Steven Spielberg è finalmente arrivato sugli schermi italiani. “Lincoln” si annunciava come un kolossal, viste le 12 candidature agli Oscar del 24 febbraio, e non ha deluso le attese. Un lavoro a cui il regista di “E.T.” pensava da tempo, una storia che aveva il desiderio di raccontare e che ha scelto di dirigere solo dopo un’attenta riflessione durata più di cinque anni.
Una lunga gestazione insomma, che ha portato però ai frutti sperati. “Lincoln” infatti non racconta semplicemente una storia, ma si serve di un uomo che ha fatto la storia per impressionare gli spettatori con una narrazione indimenticabile. Il film offre uno spaccato della vita pubblica e privata del sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Soprattutto, si evidenziano gli ultimi quattro mesi della sua vita, mesi in cui egli fu capace di cambiare le sorti dell’umanità.
La vicenda si basa su due grandi pagine di storia: la guerra di secessione americana e la battaglia del presidente per cercare di ottenere l’approvazione del 13esimo emendamento sulla definitiva abolizione della schiavitù. Fin dai primi minuti del film non si riesce a non amare la figura di Lincoln, interpretato dal premio Oscar Daniel Day-Lewis. La figura di uno dei padri d’America non viene infatti idealizzata, nessun racconto mitico o fine a se stesso. Lo spettatore in sala ha l’opportunità di conoscere un uomo nei suoi aspetti più intimi: nessuna esaltazione eroica, solo bonaria naturalezza.
La capacità di Spielberg, che è poi il segreto di questo film, sta nel non incentrare tutta l’attenzione sul personaggio principale. Lincoln risulta il faro che illumina tutti quelli che camminano per raggiungere un obiettivo comune: la libertà. Tutti i personaggi quindi risultano essenziali: non avrebbe senso illuminare una strada se nessuno avesse avuto il coraggio di percorrerla. Strazianti, ma allo stesso tempo meravigliose le scene incentrate sul dolore costante del rapporto tra il presidente e sua moglie: una coppia che stenta a perdonarsi e soprattutto a superare l’atroce perdita di un figlio. Magistrale anche l’interpretazione di Sally Field nei panni della signora Lincoln.
Un’altra figura cattura però lo spettatore durante il film, il candidato all’oscar come miglior attor non protagonista Tommy Lee Jones che interpreta il repubblicano Thaddeus Stevens. Un politico che si batté tutta la vita contro lo schiavismo. Uomo dalla storia personale impensabile, di cui anche il più cinico spettatore non può non innamorarsi. Steven Spielberg non ha deluso le aspettative, anzi le ha superate. Sono poche le pellicole dei nostri giorni capaci ancora di farci soffrire e gioire insieme ai protagonisti. Chiunque andrà al cinema a vedere Lincoln si sentirà uno schiavo e allo stesso tempo perderà una parte di sé in uno dei tanti campi di battaglia che videro la morte di tantissimi giovani dalle grandi speranze.
Chiunque entrerà nella sala per vedere questo capolavoro, lotterà insieme al presidente e ai suoi fidati con ogni mezzo necessario per raggiungere l’unico scopo comune. Ma soprattutto, per circa due ore sarà estremamente convinto che bisogna vivere andando sempre al di là delle proprie convenienze personali. Questo è il prodigio di Steven Spielberg: con la settima arte il regista di “Schinderl’s List” ha raccontato una storia del passato, senza però dimenticarsi del nostro presente e soprattutto del nostro futuro.