Scontri, guerriglie, morti e feriti da oltre trent’anni, e tutto questo a causa di una bandiera. Non stiamo parlando di un remoto Paese dell’Africa ma dell’Irlanda del Nord dove non accenna a placarsi il conflitto religioso in corso tra le due fazioni più estremiste presenti sulla scena politica. Gli ultimi episodi di violenza si sono verificati nei giorni scorsi a Belfast, ma tutto è partito lo scorso 3 dicembre 2012 quando il Consiglio comunale cittadino ha deciso che la bandiera britannica, la Union Jack, possa sventolare nel pennone del municipio soltanto in alcune occasioni prestabilite durante l’anno. Da allora sono partite le proteste degli unionisti nell’Irlanda del Nord, note come Fleg Protest – “Protesta della bandiera”. La parola “fleg” è volutamente scritta in modo errato per sottolineare l’accento tipico delle classi popolari di Belfast che rivendicano la loro appartenenza al Regno Unito.
Per comprendere più a fondo le origini della crisi bisogna fare un passo indietro e parlare di un Paese lacerato da circa quarant’anni di guerre intestine, note anche come troubles, tra le due forze politiche più influenti dell’Irlanda del Nord. Da una parte i repubblicani, a maggioranza cattolica e favorevoli all’annessione all’Irlanda del Sud, e dall’altra gli unionisti/lealisti, prevalentemente protestanti, che difendono la loro appartenenza al Regno Unito. In mezzo a questi due blocchi, un terzo partito, l’Alliance party, che cerca di raccogliere le istanze dei cittadini indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa.
Perché, prima che politico, il conflitto in corso in Irlanda del Nord è di natura religiosa. I cattolici non riconoscono l’autorità ecclesiale della Regina Elisabetta, difesa invece dagli anglicani che vivono in quella zona. Sembra di essere tornati ai tempi dei Guelfi e Ghibellini, eppure la questione irlandese è di stringente attualità e continua a provocare scontri, feriti e morti, proprio com’è accaduto nel corso degli ultimi 41 anni, esattamente il tempo trascorso dal Bloody Sunday, la domenica di sangue dove i britannici del primo battaglione del reggimento di paracadutisti spararono e uccisero 14 civili inermi, durante una manifestazione della Nothern Ireland civil rights association.
Si capisce allora come, per chi ha vissuto oltre 30 anni di guerra intestina, una bandiera possa diventare un simbolo, un vessillo di protesta a favore o contro l’appartenenza al Regno Unito. Una speranza per la risoluzione del conflitto è giunta nel 1998 con il Good Friday Agreement, che ha sancito la fine del conflitto armato tra gruppi paramilitari di entrambi gli schieramenti: i repubblicani dell’Irish republican army (Ira) da una parte, e i protestanti più noti dell’Ulster volounteer force (Uvf) e dell’Ulster defence association (Uda) dall’altra. Tuttavia, gli episodi di guerriglia non si sono mai placati e a turno le due forze in campo hanno perpetrato azioni sanguinose e violente nei confronti dei rivali. Ancora oggi, soprattutto per chi ha perso familiari e amici, parlare di pace e di non violenza in Irlanda del Nord è impossibile.
Piera Vincenti