Quando scrivo spesso mi chiudo in me, come se nulla fuori esistesse, come se qualsiasi cosa che stesse accadendo fuori mi scivolasse completamente dal cuore e dalla mente. Ancora una volta parlare dell’importanza dell’artigianato e, in questo caso, l’importanza del lavoro sartoriale. Nello scorso articolo ho spiegato quali erano, secondo me, le differenze tecniche tra il lavoro del sarto e quello del Fashion Designer. Il mio intento è quello di farvi vedere praticamente, ma soprattutto farvi conoscere realmente, chi oggi veste la Signora moda senza tralasciarle il modo sartoriale e il significato dato al proprio lavoro.
Luigi Gentile è un ragazzo che di moda ne comprendeva solo il significato, dice, è una persona timida ma allo stesso tempo decisa a spianare la sua strada all’interno di quel mondo carnefice colorato di rosa e profumato di eleganza.
Lui si racconta così: «Ho sempre percepito il mondo della moda come una realtà distante anni luce dalla mia quotidianità, o meglio, dalla mia piccola scrivania dove spesso mi dilettavo a disegnare. Mai e poi mai avrei pensato che improvvisamente quella distanza si sarebbe notevolmente accorciata. Studiavo Filosofia all’Università di Bari – ci racconta – e con grande soddisfazione ma altrettanto rammarico, perché la mia mente spesso volava altrove, verso la mia passione. Un noiosissimo pomeriggio di quasi 5 anni fa, passato con Kant e le sue “Critiche”, ricevetti una mail che segnò la nuova direzione verso cui la mia vita doveva andare. Si trattava di un invito dello IED Roma per partecipare, con un piccolo progetto, al concorso UNCREATIVOALGIORNO che metteva in palio delle borse di studio per frequentare il corso di fashion design. Il mio progetto si intitolava A LITTLE OVER ZERO e rispecchiava un po’ quello a cui ambivo, ossia crescere, e anche in fretta, per ritagliarmi un piccolo posticino, il mio. Ho abbandonato tutto, la mia terra, il mio mare, i miei affetti per approdare a Roma, dove ho vissuto e studiato presso lo IED Moda Lab per tre anni. Sono stati gli anni più duri ma anche quelli a cui penso spesso con profonda nostalgia. Anni che mi hanno formato e illuminato nel vero senso della parola; che mi hanno portato a vivere dei conflitti con me stesso e a pormi un sacco di domande. In questo contesto ho capito perché il mio sogno era fare moda: un estremo bisogno di comunicare con qualcosa che potesse restare e non volare via come le parole, dare spazio alla creatività in maniera razionale (il che può sembrare un ossimoro). “Fare moda” non è sinonimo di “fare stracci”, ma è qualcosa di più: significa creare delle storie, creare dei mondi e fare in modo che questi si intreccino ed interagiscano al punto tale da giungere ad un racconto coerente in ogni sua parte. La moda è una forma di arte e cultura a tutti gli effetti, una “questione di significati e non di abiti”. Forse ciò che manca oggi è proprio questa idea di fondo e la sua stessa mancanza contribuisce, d’altro canto, a una imperante spersonalizzazione di quella che è l’identità di molte maison. Sembrerò forse terribilmente retorico, ma sono convinto che il segreto per essere ontologicamente parte di questo mondo stia nell’umiltà e soprattutto nel grande impegno alimentato anche da altrettanta curiosità, perché in fondo la bellezza di questo “lavoro” sta proprio nel potersi esprimere, nello sperimentare e comunicare in un modo intelligente e originale, attraverso immagini. Semplicemente creando.
«Il mio percorso di studi è terminato nel giugno del 2011, quando ho presentato il mio progetto tesi Viandante sul mare di nebbia, una collezione maschile che trae ispirazione da un piccolo racconto di Baricco, Seta, che mi accompagna ovunque io mi sposti. Il protagonista del romanzo – Hervè Joncour, il giovane militare che diventa mercante di bachi da seta – è stato il pretesto per raccontare in un concetto moda l’inaspettato incontro tra la razionalità ed il rigore del mondo militare e la fluidità del mondo giapponese. Credo che questa mia collezione, per quanto ormai sia frutto di un passato non poi così tanto lontano, sia “attuale” semplicemente perché riflette, come uno specchio, una parte di me che il tempo non ha cambiato. Sono pieno di contraddizioni, sempre in lotta con me stesso. Mille pensieri frullano nella mia testa alla velocità della luce, ed ogni pensiero è puntualmente l’esatto contrario di quello che avevo il momento prima. Ma forse sarà proprio questa continua ricerca del pensiero giusto, che mi spinge ad andare avanti sempre più determinato soprattutto in un momento delicato come questo, in cui lo spazio per noi giovani è molto limitato e la moda non è più pura creatività ma anche, o soprattutto, fatturato. Oggi, col famoso senno di poi, sono abbastanza felice del mio percorso e dei frutti a cui, tra porte in faccia e lacrime di gioia, sta portando. Tutto sommato non posso chiedere di meglio, anzi forse dovrei chiedere scusa a qualcuno e ringraziare qualcun altro».
Credo che quando un lavoro è, come nel nostro caso, prima passione e poi danaro, alla domanda “parlami del significato della tua professione” si inizia a parlare di vita, di emozione provate ma soprattutto di valori che abbiamo voglia di trasmettere. È sempre stata questa la mia dote migliore, parlare del mio lavoro e quindi di me e, ancora, di conseguenza della mia vita, così come, lettori, oggi ha fatto Luigi Gentile.
Crico