Sono state rese note le motivazioni della sentenza di primo grado del processo de L’Aquila, emessa il 22 ottobre scorso dal giudice monocratico Marco Billi, che condanna a 6 anni per omicidio colposo sette partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009, tenutasi pochi giorni prima del terremoto. Resta aperta l’inchiesta su Guido Bertolaso che, secondo quanto si evince in un’intercettazione, affermò che la riunione era solo un’operazione mediatica. Gli imputati sono stati ritenuti colpevoli di omicidio colposo e lesioni colpose perché, con le loro rassicurazioni, avrebbero, secondo il giudice, indotto gli aquilani a restare nelle case. E, precisa il giudice, nonostante i terremoti non siano prevedibili in termini di mesi, ore e giorni, andava comunque fatta un’analisi del rischio. «L’affermazione secondo cui il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile – si legge nelle motivazioni – costituisce, infatti, solo la premessa dei compiti normativamente imposti agli imputati poiché, per quanto previsto dalla legge e per quanto richiesto dalla loro qualità e dalle funzioni della commissione da essi composta, il giudizio di prevedibilità/evitabilità, su cui si basa la responsabilità per colpa contestata nel capo di imputazione, non andava calibrato sul terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio quale giudizio di valore».
Con una nota, che la redazione pubblica per intero, l’Istituto Nazionale di Geofosica e Vulcanologia esprime il proprio rammarico.
«Le motivazioni sono corpose e articolate e necessiteranno approfondimenti ulteriori – si legge nella nota -. Tuttavia, questo processo sembra ignorare la dura lezione lasciata dal terremoto del 6 aprile 2009: l’assenza di prevenzione e l’incapacità del sistema Paese di gestire nel medio e lungo termine le informazioni sulla pericolosità, sulla vulnerabilità e quindi sul rischio sismico. Si è invece focalizzata l’attenzione sulla previsione a brevissimo termine, nonostante l’acclarata impossibilità di prevedere l’accadimento di una forte scossa sismica in termini di ora, luogo e intensità; impossibilità che non esclude che il terremoto possa verificarsi. Al contrario di quanto affermato nelle motivazioni riteniamo che la strada principale per ridurre il rischio sismico sia la prevenzione in termini di riduzione della vulnerabilità degli edifici… La sentenza sostiene che gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per accadere ma non si sarebbero curati, o meglio, avrebbero volutamente evitato di comunicare adeguatamente il rischio. I sismologi italiani hanno sempre contribuito con grande impegno alla difesa dai terremoti lavorando insieme alla Protezione Civile e alle autorità locali. I sismologi hanno elaborato e messo a disposizione del Paese la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, la cui ultima versione aggiornata nel 2006 — tre anni prima del terremoto dell’Aquila — è legge dello Stato (http://www.mi.ingv.it/pericolosita-sismica/). Questa mappa, che rappresenta uno strumento importantissimo per la prevenzione sismica, era ed è ben nota. Nella mappa, L’Aquila ricadeva in una zona ove la pericolosità sismica è massima, indipendentemente dal fatto che ci fossero o meno delle sequenze sismiche in atto. Questo è stato discusso nella riunione del 31\marzo del 2009. Quindi l’ “allarme” e la comunicazione del rischio erano stati chiaramente dati, per le proprie competenze, dai sismologi. Noi pensiamo che il progresso per la mitigazione dei rischi naturali debba essere basato sulla conoscenza della pericolosità del territorio, sulla riduzione della vulnerabilità e sulla consapevolezza dell’esposizione al rischio. Ciò è raggiungibile solo attraverso l’azione congiunta di scienziati, istituzioni, autorità locali, operatori dei media e società. Purtroppo dal 2009 a oggi poco è stato fatto per migliorare la capacità di affrontare i rischi connessi con i fenomeni naturali. Noi riteniamo urgente intraprendere una nuova strada, civile e moderna, in cui scienziati, Protezione Civile, governo, amministratori locali, cittadini contribuiscano, ognuno per il proprio ruolo, a creare un sistema capace di affrontare e convivere con i rischi naturali. Per questo motivo, rinnoviamo il nostro impegno per la ricerca, per la comunicazione e per il dialogo con la società e le popolazioni dei territori a rischio».