I social network sono la modalità d’attacco preferita dal cyber bullo (61 per cento), che di solito colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59 per cento) o tramite la creazione di gruppi “contro” (57 per cento). Giovani sempre più connessi, sempre più prepotenti: 4 minori su 10 testimoni di atti di bullismo online verso coetanei, percepiti “diversi” per aspetto fisico (67 per cento) per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento). Madri “sentinelle digitali”: 46 su 100 conoscono la password del profilo del figlio, nota al 36 per cento dei papà.
Questi sono alcuni dei dati di scenario dell’indagine I ragazzi e il Cyber bullismo, realizzata da Ipsos per Save the Children e diffusa alla vigilia del Safer Internet Day, la giornata istituita dalla Commissione Europea per la promozione di un utilizzo sicuro e responsabile dei nuovi Media tra i più giovani. La ricerca oltre a fornire una fotografia sulle abitudini di fruizione del web da parte dei ragazzi italiani, indaga sull’inclinazione sempre più frequente tra i pre-adolescenti, ma ancor di più tra i teenager, a sperimentare attraverso l’uso delle nuove tecnologie una socialità aggressiva, denigratoria, discriminatoria e purtroppo spesso violenta.
Nei criteri di elezione della vittima la “diversità”, nelle sue varie declinazioni, gioca un ruolo non secondario: l’aspetto estetico (67 per cento), la timidezza (67 per cento), il supposto orientamento sessuale (56 per cento), l’essere straniero (43 per cento), l’abbigliamento non convenzionale (48 per cento), la bellezza femminile che “spicca” nel gruppo (42 per cento), e persino la disabilità ( 31 per cento) possono essere valide motivazioni per prendere di mira qualcuno. Di minore importanza, o almeno non abbastanza per attirare l’attenzione dei bulli, sono invece considerati l’orientamento politico o religioso.
Se per il 67 per cento dei ragazzi italiani si può esser puntati durante la sosta in piazzetta, nel solito locale o in altri abituali luoghi di aggregazione, per l’80 per cento dei minori intervistati la scuola rappresenta la residenza elettiva del bullismo nella vita reale, che trova rinforzo ed eco in quella virtuale.
Diverse sono le modalità che i ragazzi raccontano di poter mettere in atto una volta individuata la vittima: si rubano e-mail, profili, o messaggi privati per poi renderli pubblici (48 per cento), si inviano sms/mms/e-mail aggressivi e minacciosi ( 52 per cento), vengono appositamente creati gruppi “contro” su un social network per prendere di mira qualcuno (57 per cento), o ancora vengono diffuse foto e immagini denigratorie o intime senza il consenso della vittima (59 per cento), o notizie false sull’interessato via sms/mms/mail (58 per cento). La modalità d’attacco preferita dai giovani cyberbulli è la persecuzione della vittima attraverso il suo profilo su un social network (61 per cento).
In larghissima maggioranza, i ragazzi esprimono “solidarietà” alla persona perseguitata e secondo l’88 per cento il malcapitato non se lo meritava veramente. Gli “innocentisti” hanno chiaro il quadro della classica dinamica di branco (per il 70 per cento), così come della fragilità del persecutore.
Per la maggior parte dei ragazzi (pari all’83 per cento), gli episodi di bullismo “virtuali” sono molto più dolorosi di quelli reali per chi li subisce perché non ci sarebbero limiti a quello che si può dire e fare (73 per cento), potrebbe avvenire continuamente e in ogni ora del giorno e della notte (57 per cento) o non finire mai (55 per cento). Per il 50 per cento dei ragazzi la rete rende anonimi e quindi apparentemente non perseguibili e consente di falsare i protagonisti.
Per i ragazzi intervistati, l’isolamento è la conseguenza principale del cyber bullismo. Per il 67 per cento degli intervistati, chi lo subisce si rifiuta di andare a scuola o fare sport, ma soprattutto è la dimensione della socialità a risentirne: il 65 per cento afferma che le vittime non vogliono più uscire o vedere gli amici, il 45 per cento che si chiudono e non si confidano più. Anche effetti più gravi, che incidono sullo stato di prostrazione psicologica della vittima, sembrano essere ben percepiti dai ragazzi: secondo il 57 per cento degli intervistati le vittime di cyber bullismo vanno in depressione, il 44 per cento ha la percezione che potrebbero decidere di farsi del male o anche peggio. Sono stati testimoni di atti di cyber bullismo da parte di coetanei almeno 4 ragazzi intervistati su 10, ed il 5 per cento ne parla addirittura come di una esperienza regolare e consueta.
Dall’indagine emerge chiaramente il ruolo dell’adulto in generale. Infatti i ragazzi trovano perlopiù conforto nella sfera familiare, con la quale il 71 per cento dichiara di vivere relazioni sostanzialmente positive e rasserenanti, facendone il luogo primario della ricerca della soluzione al problema. Forte comunque la spinta all’apertura nella ricerca della soluzione.
Per trattare un tema delicato come il cyber bullismo, Save the Children ha sviluppato una serie di strumenti per parlare ai ragazzi con il linguaggio e il tono proprio della loro età, tra cui un cartoon sul fenomeno, disponibile anche in una applicazione per Apple e Android che stimola i ragazzi a riflettere sul tema. Il cartoon racconta le disavventure di Gaetano, un ragazzino preso di mira da propri coetanei cyber bulli, e attraverso i consigli di un coach virtuale sensibilizza i ragazzi sui comportamenti virtuosi da adottare, come singoli e come membri di un gruppo, e sulle conseguenze di ogni loro azione. Inoltre è stato realizzato un manuale per insegnanti per guidarli nell’utilizzo di questi strumenti di sensibilizzazione.