Una guerra lunga e sanguinosa, migliaia di vittime, sfollati e rifugiati, un Paese finalmente indipendente ma costretto a fare i conti con numerosi problemi interni quali la disoccupazione e la criminalità. Stiamo parlando del Kosovo, che ieri ha festeggiato i cinque anni di indipendenza dalla Serbia. Per onorare al meglio l’evento a Pristina sono state organizzate parate militari, mostre, concerti ed esposte le bandiere del Kosovo e dei Paesi amici, tra cui Usa, Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Turchia.
Sono tempi ben diversi da quelli in cui si lottava per affrancarsi dalla supremazia serba, durata ufficialmente fino al 17 febbraio 2008, quando Belgrado, sostenuta dallo storico alleato russo, dovette arrendersi e riconoscere l’indipendenza della provincia serba di lingua albanese, dopo aver dovuto rinunciare al Montenegro nel 2006 e, precedentemente, affrontare la secessione da Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia.
Il Kosovo indipendente fa sfoggio di orgoglio nazionale ma la situazione, a cinque anni dall’indipendenza, resta drammatica. Alla precaria situazione economica e sociale si uniscono l’elevato tasso di disoccupazione, la diffusa povertà e soprattutto l’altissimo tasso di corruzione e criminalità. Secondo dati diffusi dalla Banca mondiale un terzo dei due milioni di kosovari vive con meno di un dollaro al giorno. I giovani vorrebbero emigrare in Europa in cerca di fortuna, sull’esempio dei tanti coetanei di altri Paesi balcanici, ma non possono farlo legalmente.
La Serbia, che continua a considerare il Kosovo nient’altro che una regione ribelle, ha avvitato da due anni un negoziato con Pristina grazie alla mediazione dell’Unione europea, la quale ha riconosciuto ufficialmente il Kosovo insieme a Stati Uniti e altri 70 altri Paesi in tutto il mondo. Tra questi non ci sono Russia e Cina, alleati storici della Serbia, che dà l’impressione di voler utilizzare il Kosovo come pedina di scambio per ottenere l’ammissione nell’Unione Europea. Nei due anni di trattative sono stati raggiunti accordi importanti relativi alla gestione congiunta della frontiera e allo scambio di rappresentanti nelle rispettive capitali. Il nodo da sciogliere resta il Nord del Paese, a maggioranza serba, restio ad accettare la sovranità del Kosovo, abitato da una popolazione a prevalentemente albanese.
Proprio le differenze etniche sono alla radice di un conflitto sanguinoso che si è protratto per decenni causando migliaia di morti sia tra la fazione albanese che tra quella serba, e provocando il fenomeno degli sfollati. In un primo momento, infatti, i serbi hanno condotto azioni militari e rappresaglie per cacciare i cosovari dal loro territorio. Dopo l’indipendenza, invece, è stata la popolazione a maggioranza albanese a rivendicare il possesso del Paese invocando la pulizia etnica. Una situazione che perdura tutt’ora e di cui si discuterà nel prossimo incontro fra i due premier, il serbo Ivica Dacic e il kosovaro Hashim Thaci, martedì e mercoledì a Bruxelles. La normalizzazione delle relazioni bilaterali è la condizione posta da Bruxelles a Serbia e Kosovo per avanzare sulla strada verso l’integrazione nella Ue.
Piera Vincenti