Si spengono le luci di Parigi, la moda tira le sue somme. Diventano un ricordo queste giornate che ci hanno fatto sognare, spostandoci quasi in una terra incantata (e incontaminata) lontano dal periodo non facile del mondo della creatività. Eppure Parigi, con tutta la sua poesia, lascia e lancia un messaggio: la moda è storia ed è proprio dal passato che bisogna attingere per modellare il futuro. Quando finisce lo show di Valentino la sensazione è questa. I due eredi dell’Imperatore” sono Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, giovani, anagraficamente parlando, ma con un archivio culturale così variegato da far risplendere la Maison sotto una luce nuovamente imponente. Applaude il pubblico all’uscita finale anche se, già dalle prime proposte, si percepisce una collezione che a Parigi lascia il segno del Made in Italy. Il nuovo Valentino gioca così di ossimori sartoriali come la fantasia e l’austerità, il rigore e la modernità. Sfilano miniabiti in pizzi, merletti, cappe in ermellino, gonne leggiadre, piccole borchie quasi impercettibili che non turbano l’insieme, anzi. La contemporaneità sposa la tradizione rendendo attuale ciò che appartiene a una donna di altri tempi. Belle le trecce delle modelle che evocano una purezza femminile ancora acerba, delicata, armoniosa. La palette cromatica spazia dal nero all’avorio, passando dal blu cina al rosso più audace, facendo così da sinfonia a questo mondo fatto di dettagli minuziosi, creato per immergere gli spettatori in un’opera d’arte fiamminga, ricca di particolari ma così attenta a regalare un profondo sollievo tra tutte le sue pennellate. A chiudere Parigi c’è poi la maison-madrina della Francia, ovvero Chanel. E qui Karl Lagerfeld torna al tweed come elemento dominante, completato da catene, tanto care a Mademoiselle Coco. La metafora della sfilata è quella dell’internazionalizzazione e la pedana stessa diventa circolare, con la stampa dell’emisfero: la donna è una globetrotter moderna, emancipata, vestita con quella giacca in tweed che diventa perfetta per ogni occasione, sia di giorno che di sera. Il nero è il colore dominante, scelto anche per le calzature (sexy cuissard) che per il prossimo inverno si vestono di vernice o di sfavillanti paillettes.
Mentre l’eccellenza di Hermès si riconferma ancora con uno show fatto di cappe in lana, silohuette morbide e qualche taglio maschile (che conferisce, nel suo contrasto, una femminilità senza eguali), Giambattista Valli gioca con l’eleganza dei drappeggi, i dettagli in pelliccia, i tagli più strutturati e qualche tocco di colore declinato su ricami floreali rossi o stampe maculate. Ma c’è anche Louis Vuitton, con la sua sfilata “aperta a tutti” tramite la diretta in streaming sul sito, a far parlare di sé, soprattutto per le modelle in passerella. In abiti-lingerie, storia di questa nuova collezione, arrivano così Kate Moss in versione caschetto nero (formidabile la sua presenza in scena, come sempre), ma anche Maria Carla Boscono (la top italiana da sempre musa di Givenchy) e la lanciatissima Cara Delavigne, anche lei in parrucca nera di rigore. Il giro di direzione –loungewear di Louis Vuitton non è l’unico di queste date parigine.
La passerella di Saint Laurent ha infatti destato molte critiche per la scelta – azzardata – di trasformare la linea in un inno al grunge o al post punk poco adatto alla storia della griffe. Hedi Slimane ha disegnato in una collezione dedicata a Courtney Love ai tempi delle Hole ma quelle calze a rete, i capelli spettinati, le gonne corte con le multizip, e l’accostamento di capi abbinati ad anfibi neri ci lasciano un po’ nostalgici: la mano di Monsieur Yves Saint Laurent scompare del tutto, sepolto da quel nuovo che, spesso, invece di creare, distrugge. Il respiro dei grandi del passato è ancora vivo tra le pedane. Karl Lagerfel fa rivivere Chanel a ogni colpo di collezione e lo stesso duo di Valentino ha omaggiato la tradizione della couture. Con queste istantanee memorabili, si volta un’altra pagina di grande prova della moda. Quella che ricorda per (r)innovare.
Ornella Fontana