Vinitaly, la manifestazione fieristica più importante al mondo per il vino italiano, ha aperto oggi, 7 aprile 2013, i battenti e fino a mercoledì rappresenterà la vetrina per consumatori e buyer. Con 4.200 espositori provenienti da 20 Paesi, il comparto vitivinicolo italiano conferma Verona come piazza privilegiata per il business. Ma il segnale che è fortemente emerso dall’inaugurazione della 47esima edizione di Vinitaly, moderata da Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del TG1 Rai, è che serve una scossa al sistema Italia, per consentire alle imprese di ripartire. Tagliando innanzitutto una burocrazia soffocante, che, secondo diversi calcoli, «pesa» per 100 giorni lavorativi, 6 centesimi a bottiglia, due chilogrammi di carta per ogni litro di vino che si sposta sull’asse produttore-consumatore. «Il ruolo delle fiere è strategico – ha affermato il presidente di Veronafiere, Ettore Riello – e non si può dimenticare che complessivamente durante le fiere si chiudono accordi per circa 60 miliardi di euro di fatturato e dalle fiere internazionali passa il 15 per cento dell’export italiano. Questo è emerso chiaramente anche da un recentissimo sondaggio ISPO su un campione di 400 imprenditori ci dice che il 94 per cento delle imprese interpellate considera le fiere il canale più efficace per promuovere le proprie attività all’estero». In questa ottica Veronafiere, ricorda Riello, «ha stretto accordi strategici con Sace e Simest e, in questa edizione di Vinitaly, ospita una importante delegazione del commercio estero cinese, perché, restando in ambito vitivinicolo, con 384mila aziende e un fatturato aggregato di 10 miliardi di euro, l’export rappresenta 4,7 miliardi, cioè il 50 per cento del totale, contro una media europea del 18 per cento». In un momento di così grande difficoltà, ha proseguito Riello, «effettivamente questo è un settore che sta andando meglio di altri, registrando un incremento su quello che è il numero degli addetti». Numeri che proiettano l’Italia primo produttore mondiale di vino e Verona, con Vinitaly, «la città simbolo del vino, in cui il vino è inserito nella vita della città», come ha ricordato il sindaco di Verona, Flavio Tosi. Non solo, anche perché Verona, rappresenta il 45 per cento del panorama fieristico agroalimentare in Italia. Uno scenario positivo per il vino, «cresciuto del 5 per cento nell’ultimo anno, che però ha bisogno di aiuto, anche dall’Unione europea, ma non sotto forma di aiuti a pioggia», ha affermato il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia. Il governatore del Veneto ha citato come esempio il Prosecco, «la cui produzione, grazie all’allargamento dell’area di coltivazione, è passata da 160 a 453 milioni di bottiglie; ora vediamo i francesi dello champagne nello specchietto retrovisore». Se nel mirino c’è l’export, con i grandi vini a fare da apripista per il made in Italy, è chiaro che servono parallelamente sforzi per ridare al settore agroalimentare la centralità che merita, rappresentando il primo settore in chiave di Pil europeo. «Serve un’inversione di rotta – ha spiegato il vicepresidente della Commissione europee, Antonio Tajani – perché quattro milioni di imprenditori italiani devono contare di più in Europa. Per questo vigilerò che i debiti pregressi della Pubblica Amministrazione vengano pagati». Per promuovere l’export bisognerà anche sconfiggere la piaga della contraffazione che, ha proseguito Tajani, «danneggia il cuore delle imprese, la salute dei consumatori e il sistema imprenditoriale, a vantaggio nove volte su dieci della malavita. Come Commissione europea stiamo cercando di stringere un accordo con la filiera agroalimentare dell’Ue, ma se questo non sarà possibile sarò costretto a intervenire, unitamente al commissario Cioloþ, per via legislativa». Contro la burocrazia è intervenuto anche il ministro per le Politiche agricole, Mario Catania. «In tema di semplificazioni resta moltissimo da fare – ha sostenuto Catania – Il governo Monti ha fatto partire il processo tra mille difficoltà, ma le riforme fatte sono parziali e c’è molto cammino da fare». Molto positiva l’attenzione di Vinitaly all’export e anche alla Cina. Un mercato, come ha confermato il ministro Catania, «nel quale c’è un grande spazio che si apre. Siamo fortissimi sui mercati storici, come Usa e Germania, ma siamo indietro nei nuovi mercati come Asia e Cina. Dobbiamo lavorare per recuperare terreno, dobbiamo fare meglio sistema, e non disperdere le risorse». Poi, spazio a questioni più tecniche, come la liberalizzazione del diritto di impianto dei vigneti. «E’ uno scenario che abbiamo alle spalle – ha puntualizzato il ministro –. Abbiamo un percorso davanti in cui la regolamentazione resterà per non destabilizzare il comparto e per non delocalizzare il vigneto dalla collina alla pianura. A Bruxelles abbiamo ottenuto la conferma della dotazione finanziaria per la promozione, sono per l’Italia quasi 400 milioni su base annua di risorse destinate all’Ocm vino nell’arco di sette anni, che sono quelli della prossima programmazione della Pac». Più difficile, invece, la risoluzione del problema dello zuccheraggio del vino, «dove ci siamo dovuti accontentare a livello europeo di qualche progresso, non di più».
Alla conquista della Russia – Il mercato russo è uno dei più strategici e complessi per il vino e l’olio italiani, con ampi spazi di crescita. E così il consueto programma di internazionalizzazione per le imprese di Confagricoltura al Vinitaly, realizzato con la collaborazione con Unicredit, quest’anno è dedicato alla Russia. Le nostre imprese puntano a rafforzarsi su questo mercato; pertanto decine di aziende selezionate provenienti da tutte le regioni d’Italia parteciperanno nei giorni della Fiera a centinaia di incontri B2B con più importanti importatori del Paese. Un’iniziativa particolarmente opportuna in questo momento, per una serie di fenomeni che stanno interessando questo mercato. La platea di consumatori della Federazione Russa, che per lunga tradizione ha familiarità con il vino (attestato però ancora a livelli piuttosto bassi, intorno ai 7 litri pro capite) lo sta a poco a poco mettendo al posto dei superalcolici (vodka in primis). E, soprattutto, apprezza molto il bere made in Italy, corroborato da un’immagine di alto livello, simbolo di possibilità economica e buon gusto, in sintonia con il forte appeal esercitato dall’italian style in Russia. Non a caso l’affluenza di turisti russi in Italia si fa sempre più intensa (è aumentata del 30% l’anno scorso). Nonostante il calo dell’export (il fatturato complessivo delle vendite di vino in Russia è stato, nel 2012, di 133 milioni di euro, in calo del 10% rispetto all’anno precedente), il prezzo medio del vino italiano esportato in Russia sta crescendo. L’aumento di prezzo medio del vino italiano esportato – secondo le stime del Centro Studi di Confagricoltura – è stato di ben il 75%, dal 2009 al 2012. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, la Spagna resta saldamente leader del mercato russo, ma negli ultimi anni ha perso quote di mercato (dal 2005 al 2012 è scesa dal 67,1% al 60,5% di quota) a favore del nostro Paese, secondo fornitore (la cui quota è passata dal 22,4% al 24,1%), nonché di altri concorrenti che detengono però posizioni minoritarie. Ed è proprio sulla fascia alta del mercato che stanno scommettendo gli olivicoltori di Confagricoltura; in ciò avvantaggiati dal volàno offerto da una ristorazione italiana decisamente in auge a Mosca e a San Pietroburgo. «In un momento di crisi generale dei consumi interni i produttori italiani puntano sull’estero. Si lavora soprattutto – afferma Confagricoltura – sul miglioramento della percezione qualitativa del prodotto, fattore in grado di alzare il valore economico delle vendite in Russia, dove il consumatore è maggiormente propenso a spendere di più a fronte di un vino o di un olio qualitativamente superiore».
I vini della Lombardia che seducono la Cina – I vini della Lombardia vanno alla conquista della Cina. Nella giornata inaugurale del Vinitaly, il Padiglione Lombardia ha infatti accolto la visita della delegazione cinese capitanata da Xuwei Wang, Segretario generale della China Association for Importers & Exporters of Wine & Spirits (Caws). Una visita in occasione della quale sono state poste le basi per una serie di iniziative pensate ad hoc per promuovere i prodotti lombardi e italiani in Cina, Paese nel quale il tasso di crescita dell’import di vini ha sfiorato la media del 30% all’anno tra il 2008 e il 2012. «La Cina rappresenta un mercato con enormi prospettive di crescita anche nei prossimi anni – ha spiegato Xuwei Wang – visto che il consumo di vino è un fenomeno relativamente recente e che sta diventando sempre più popolare». Se oggi il mercato cinese, con un valore di 5,4 milioni di euro di export nel 2012, è l’ottavo per i vini lombardi, per i quali i primi tre mercati sono quelli di Stati Uniti, Svizzera e Germania, in futuro le cose sono destinate a cambiare notevolmente. «In Cina l’80% del consumo di vini è assorbito dai vini rossi, mentre tra i bianchi è in forte crescita quello di spumanti», ha proseguito il Segretario generale della Caws. «Attualmente i vini francesi rappresentano circa la metà dell’import, perché i produttori francesi sono stati i primi a promuovere i propri prodotti in Cina, facendo in modo che i consumatori si abituassero al loro gusto. L’Italia, che al momento è quinta alle spalle di Francia, Australia, Cile e Spagna per quel che riguarda il nostro import di vini, ha però un altissimo potenziale, a patto che continui a puntare in maniera decisa sulla promozione dei suoi prodotti». In questo senso, «la Caws sta attivando una serie di collaborazioni con i Consorzi di tutela per creare dei “marchi ombrello” che identifichino le aree vitivinicole e valorizzino, facendo leva sull’appeal delle etichette più famose, la produzione dell’intero territorio», ha spiegato Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere Lombardia. «La presenza per la prima volta di una delegazione cinese a Vinitaly e al Padiglione Lombardia è un segnale inequivocabile che il mercato cinese è pronto ad accogliere i prodotti delle nostre aziende: adesso sta a noi cogliere questa opportunità».