I mutamenti del clima impongono uno spostamento verso Nord delle coltivazioni di frumento duro, da cui dipende la pasta. Una situazione che potrebbe portarci a dipendere completamente dall’estero per la produzione del nostro alimento base. A lanciare l’allarme è il Cnr, tanto che per i prossimi 27, 28, 29 e 30 di maggio è fissato a Roma un convegno internazionale sul tema.
«Il frumento duro – spiegano dal Centro nazionale delle ricerche – rappresenta una delle fonti primarie di calorie e proteine per gran parte dell’umanità, ma i cambiamenti climatici nella regione mediterranea, area di elezione della specie, pongono problemi per la sua coltivazione, spingendola sempre più a Nord». Uno scenario, questo, che renderebbe indispensabili le importazioni, modificando in modo consistente il normale iteri di produzione della pasta, uno dei componenti fondamentali della dieta italiana, inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Eventualità che, chiaramente, avrebbe ripercussioni anche sull’economia italiana, già agonizzante.
Per fare il punto sulla situazione e sui possibili scenari futuri, la sede centrale del Cnr accoglierà nei prossimi giorni il convegno ‘Genetics and Breedings of Durum Wheat’, organizzato dall’Accademia nazionale delle scienze con il Dipartimento di scienze bio-agroalimentari (Disba) del Cnr, Enea, Cra e Cimmyt, Icarda, Fao. «Il cambiamento climatico – sottolinea Domenico Pignone, dell’Istituto di genetica vegetale del Cnr di Bari – sta rendendo l’area del Mediterraneo, dove la specie si è evoluta ed è stata coltivata per 10 mila anni, sempre più inospitale per la coltivazione del frumento, che, spinto sempre più a Nord, sperimenterà agenti patogeni e condizioni ambientali differenti. Nel contempo, la gamma di prodotti che si ricavano dal suo raccolto si amplia e il consumo si estende a nuove regioni».
Ma quali sono i numeri relativi alla produzione di frumento duro? Stando ai dati forniti dalla Coldiretti, pare che la produzione italiana sia di 4,2 tonnellate. Nonostante un incremento del raccolto destinato alla pasta registrato nel 2012 e pari al 12% , il nostro Paese sembra restare dipendente dall’estero per circa il 40 % del suo fabbisogno. «L’Italia, un po’ come è avvenuto con la seta, da paese produttore – prosegue Pignone – potrebbe diventare totalmente importatore, con pesanti ricadute economiche. È necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualità, in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari». «Il frumento duro, coltivato su più di 500 milioni di ettari in tutto il mondo, è la base – aggiunge Emilia Chiancone, presidente dell’Accademia nazionale delle scienze – della dieta e del reddito agricolo in Europa, America e Australia, ma le malattie e gli stress ambientali continuano a limitare e a degradare la qualità del raccolto. Questi ostacoli – continua – richiedono continua attenzione da parte della comunità scientifica». Comunità scientifica che è chiamata a raccolta durante il convegno di settimana prossima, quando interverranno circa 60 relazioni e saranno illustrati 130 poster da parte di studiosi e ricercatori.