C’è un legame forte che lega i fratelli. Questo legame a volte è basato sulla stima, altre volte sull’indifferenza, molte altre volte sull’astio e sul rancore per una situazione non risolta. Eppure la voce del sangue si fa sentire, prima o poi, e non possiamo non risponderle altrimenti essa ci distrugge. E`quello che infatti accade ai protagonisti del romanzo Figli dello stesso padre (Longanesi) di Romana Petri, finalista al Premio Strega 2013. Germano ed Emilio sono figli dello stesso padre, Giovanni, ma hanno madri diverse. Tuttavia, nonostante abbiamo solo metà dello stesso corredo genetico, sentono di doversi vedere anche se sono separati dall’Oceano. Germano vive in Italia e usa l’arte per esprimere la propria rabbia. Decide di invitare alla sua mostra il fratello Emilio, che vive in America dove lavora come matematico e ha una famiglia solida costituita grazie alla psicanalisi, attraverso la quale è riuscito a porre rimedio alle mancanze del passato. Germano ed Emilio si rivedono dopo un lungo silenzio. Sono diversissimi, accomunati unicamente dall’amore insoddisfatto per il padre Giovanni, una figura possente, passionale ed egocentrica, che ha abbandonato la madre di Germano perché la sua nuova donna aspettava un figlio, Emilio, per poi abbandonare poco dopo anche lei come tutte le altre donne della sua vita. Germano, pur essendo sempre stato il preferito del padre, non ha mai perdonato al fratello piccolo di essere la causa del divorzio dei genitori. Emilio, cresciuto sapendo di essere il figlio non voluto, ha sempre cercato, invano, l’affetto del padre e del fratello. Nei pochi giorni che trascorreranno insieme, le antiche rabbie e il richiamo del sangue riemergeranno furiosi.