Una fotografia che è testimonianza ed è capace di raccontare il passato e il presente, di documentare le trasformazioni del nostro Paese e di approfondire aspetti della realtà, dalla quotidianità in un campo di nomadi alle condizioni di vita in quelli che erano i manicomi italiani. Descrivere circa sessant’anni di carriera di Gianni Berengo Gardin, uno tra i più importanti fotografi italiani, non è semplice: nei suoi scatti trova spazio l’impegno sociale e civile, la voglia di raccontare storie senza pregiudizi, l’intento di non fare “arte” ma semplicemente offrire delle testimonianze. Questo, almeno, l’obiettivo di un instancabile fotografo, che nel corso della sua vita ha collezionato prestigiosi riconoscimenti e al quale Milano rende un nuovo e importante omaggio: dopo la consegna dell’Ambrogino d’oro, avvenuta nel 2012, ora è la volta della grande retrospettiva dedicata al maestro e dal titolo “Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo”, promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale, Civita Tre Venezie e Fondazione Forma per la Fotografia. Ben 180 scatti raccolti in una mostra che a partire da questo venerdì 14 giugno e sino all’8 di settembre sarà ospitata nei prestigiosi spazi di Palazzo Reale, in piazza del Duomo.
Si tratta di un’esposizione che ha già raccolto ampi consensi a Venezia ma che per la versione milanese si arricchisce di nuovi contributi, a partire dalla sezione dedicata proprio alla “Gente di Milano”: in tutto 40 fotografie che ritraggono i volti, i cortili e la storia della città meneghina. A questa sezione si affiancherà, poi, una serie dal titolo “Morire di classe”, in cui saranno raccolti gli scatti commissionati a Berengo Gardin da Franco Basaglia e che, come si può immaginare, hanno avuto come obiettivo quello di documentare la drammatica situazione dei manicomi in Italia. Un’inchiesta passata alla storia e alla quale si aggiunge anche il reportage sui campi nomadi: un lavoro impegnativo, che ha visto il fotografo vivere in tre campi per documentare la quotidianità all’interno di alcune comunità di rom.
«Gli zingari – spiega lo stesso Berengo Gardin a tal proposito – sono sempre prevenuti nei confronti della macchina fotografica proprio perché, solitamente, si fotografa il lato negativo della realtà. Per me – prosegue – è stato difficile entrare in questo mondo, ma quel che mi resta da questo reportage è la generosità, la poesia e la musica». Ed è proprio questo ciò che rende la mostra estremamente interessante: una raccolta di immagini in bianco e nero che raccontano storie senza pregiudizi e con grande «semplicità. O meglio – commenta il curatore della mostra, Denis Curti – con la capacità di rendere leggibile la complessità del mondo. Quel modo diretto e senza scorciatoie di guardare dritto negli occhi. Nelle sue storie c’è una quantità umana che corrisponde al suo amore per la vita. C’è commozione senza retorica. C’è quel Gianni Berengo Gardin che guarda avanti senza smettere mai di voltarsi indietro».
Ma come ha avuto inizio la lunga carriera di Gianni Berengo Gardin? È il 1954 quando il poco più che ventenne Gianni comincia a fermare su pellicola ciò che vede durante i suoi numerosi viaggi in giro per il mondo. Leica sempre appesa al collo, Berengo Gardin diviene presto collaboratore di alcune delle più importanti testate giornalistiche italiane e comincia a dedicarsi alla realizzazione di libri fotografici, tanto che ne pubblicherà più di 200. Alla base di circa sessant’anni di carriera, poi, la convinzione di non essere un artista, bensì un testimone. «Il mio lavoro – afferma con convinzione – non è assolutamente artistico e non ci tengo a passare per un artista. L’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile». Un’affermazione, questa, che non trova del tutto concorde il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che in occasione dell’imminente inaugurazione della mostra sottolinea come «la fotografia di Berengo Gardin sia azione civile, ritratto di una realtà amata e di una rivoluzione possibile per il suo miglioramento. Tuttavia, e ci permettiamo un cortese dissenso con l’autore, è anche arte: arte vera proprio perché sociale e civile. La mostra di Palazzo Reale mette in luce con 180 immagini la coesistenza indistinguibile delle due dimensioni negli scatti di Gardin, il quale ha raccontato l’Italia – prosegue Pisapia – con una fotografia di grande eleganza e di intensa capacità di significazione. Il suo scatto cattura l’attenzione con una forza che a prima vista non ti spieghi, ma che diventa poi chiarissima: è l’amore per un Paese e per la sua gente, e la voglia di vederlo migliore. Quando questo amore entra nelle mani di un artista, il risultato è indimenticabile. Per questo Gardin, anche se non vuole, è un artista: un artista vero».
Scheda tecnica della mostra:
Dal 14 giugno all’8 settembre 2013, Palazzo Reale di Milano
Orari: lunedì 14.30 / 19.30, martedì – domenica 9.30 / 19.30, giovedì e sabato 9.30 / 22.30
Biglietti: 8 euro (ridotto 6,50 euro)
Valentina Sala