Chiunque abbia visto almeno una volta il film “Il pianista” di Roman Polański sicuramente ricorderà la scena in cui il protagonista, il pianista ebreo Władysław Szpilman scappato dal ghetto di Varsavia e costretto a nascondersi sino all’arrivo dell’Armata Rossa, vaga senza meta tra le macerie di una città completamente distrutta.
Lui, solo tra le rovine, non ha più un luogo in cui andare o qualcuno della sua famiglia da incontrare: gli rimane solo da attendere, come tutti, l’arrivo dei sovietici e la fine dell’occupazione nazista. Varsavia, terza tappa del nostro tour, è una città che nel dopoguerra ha dovuto risollevarsi e rinascere dalle macerie. Solo circa il 15 % della capitale polacca era, infatti, ancora in piedi al termine della guerra. Una distruzione pressoché totale.
Dopo aver lasciato la bella Cracovia, sei ore di auto ci conducono qui, nella capitale della Polonia. Un tempo davvero notevole se si considera che si tratta soltanto di circa 300 chilometri di distanza. Chiunque voglia avventurarsi in auto lungo le strade polacche deve infatti fare bene i suoi conti: spesso si tratta di percorsi a un’unica corsia, dove non mancano i mezzi pesanti in transito e, d’estate, i lavori lungo il tragitto, con conseguenti e continui rallentamenti. Ma al di là del viaggio, l’entusiasmo per essere arrivati nella capitale polacca è grande. Credo sia soprattutto la curiosità di vedere una città piena di vita, di voglia di fare, di opportunità lavorative dopo una simile distruzione e circa quarant’anni di regime comunista. Sì, perché nonostante la crisi europea di cui tanto si parla, pare che la Polonia stia oggi vivendo un periodo di crescita, con posti di lavoro che altrove nel vecchio continente mancano così drammaticamente.
Per iniziare subito a conoscere un po’ la città ovviamente optiamo per una visita a quella che è ancora chiamata “Città Vecchia”, anche se di “vecchio” ha solo l’aspetto. Prima di partire dall’Italia in molti ci hanno detto che Varsavia è una città “interamente ricostruita”, forse sottintendendo un minore fascino rispetto a Cracovia o altre mete. In realtà, però, questo suo essere ricostruita è un qualcosa di interessante: il suo centro è talmente bello e vivace da contrastare incredibilmente con le fotografie di rovine e macerie che si possono vedere qua e là tra le vie, ricordo indelebile del passato. Edifici sventrati e irriconoscibili nelle immagini del ’45, mentre davanti ai nostri occhi c’è il vecchio castello circondato dai palazzi e dai vicoli medievali, con tanto di mura e grande bastione difensivi. È la bellezza, questa almeno è la prima sensazione, che riesce a vincere la disperazione. È la voglia di ripartire, di rimboccarsi le maniche, di ridare orgoglio a una Polonia terra di tutti e di nessuno, uno stato rinato soltanto dopo la prima guerra mondiale e così “poco importante” da poter essere spartito a tavolino con un patto segreto e scellerato tra regimi agli antipodi. Ora nel vecchio centro storico tutto ha l’aspetto di un tempo e questo grazie a un attento studio delle immagini e dei dipinti che in passato hanno ritratto la parte più antica della città. Una fedeltà all’originale e un fascino così notevoli da aver comunque convinto l’Unesco a dichiarare la Città Vecchia Patrimonio dell’Umanità.
Percorriamo, quindi, le strade della parte ricostruita. C’è il castello color mattone che delimita un lato della prima piazza e, proseguendo per una via, ecco la cattedrale e, in fondo, la piazza principale, con al centro la statua con una sirena. Di sirene, in realtà, ce ne sono davvero molte qui, in quanto si tratta del simbolo della città. La leggenda legata alla nascita di Varsavia racconta, infatti, che un tempo due sirene sorelle si avvicinarono alla terraferma lasciando alle loro spalle le acque fredde e poco sicure dell’Oceano Atlantico. Nuotarono, quindi, attraverso il Mare del Nord e una delle due decise di fermarsi in Danimarca, a Copenaghen, dove ancora oggi si trova. L’altra, invece, giunse fino al Mar Baltico e percorse la Vistola, il fiume che la condusse sino al luogo in cui presto sarebbe nata Varsavia. Il canto di “Zawa”, questo il suo nome, fece innamorare tutti gli uomini di quelle terre, attirando l’ira gelosa delle donne, che presto la imprigionarono. Dopo una serie di vicissitudini, la leggenda si conclude con la liberazione di Zawa per mano di un uomo e con la nascita di Warszawa, nome che sarebbe l’unione di “Wars”, il prode innamorato, e “Zawa”, da quel momento protettrice della città appena sorta.
Reso omaggio alla sirena Zawa, proseguendo oltre la piazza raggiungiamo il grande bastione che un tempo controllava il passaggio nella città fortificata, mentre al di là delle mura c’è la “Città Nuova”, in realtà una zona in tutto simile alla precedente ma che in epoca medievale si trovava all’esterno della cinta muraria.
L’impatto con la capitale polacca è subito positivo e i giorni qui si preannunciano davvero ricchi: la città vecchia, il socialismo reale, la zona che fu del ghetto, la storia e la rivolta sia del ghetto che dell’intera Varsavia durante la seconda guerra mondiale, i parchi, il palazzo Wilanów,… Insomma, gambe in spalla e cominciamo a conoscere anche questa città!
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Valentina Sala