«Nanà ravvivava tutti i balli dei dintorni. La conoscevano dalla Regina Bianca al Gran Salone della Follia. […] Di tutti i balli del quartiere, però, preferiva sempre quello dell’Eremo in un cortile umido, e il Ballo Roberto, nell’impasse du Cadran, due stanzucce infette rischiarate da una mezza dozzina di lucernine, dove tutti erano contenti e liberi di fare i propri comodi, tanto che i cavalieri e le dame potevano sbrigare le loro faccenduole nei cantucci senza che nessuno li disturbasse mai».
Nanà, la protagonista dell’omonimo romanzo di Émile Zola, è giovane, bella, discendente di quella famiglia di alcolisti cui lo scrittore ha dedicato un intero ciclo di romanzi, i “Rougon-Macquart”. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, precisamente nella Francia imperiale di Napoleone III, e lei, giovane cresciuta nella povertà a fianco di una madre alcolizzata e di una figura paterna estremamente negativa, decide presto di lasciare il quartiere operaio parigino della Goutte-d’Or per avventurarsi nella vita notturna della capitale francese. Destinazione, quindi, la famosa Butte, ossia la collina di Montmartre, e il dedalo di strade che si trova proprio ai piedi di quest’ultima, Pigalle.
Zona parigina che nel secondo Ottocento diventa il luogo privilegiato per ogni tipo di outsider, Montmartre e le vie vicine attirano ballerine, attori, artisti, scrittori, i quali si perdono tra gli alberghi ambigui e, soprattutto, tra i locali del divertimento notturno che animano la zona. I moulin sorti un po’ ovunque sulla collina sono, infatti, i luoghi di ritrovo preferiti di scrittori bohémien, tra cui lo stesso Zola, di artisti e di attori in cerca di svago, di spettacoli da alcuni considerati di dubbio gusto. Come non citare, a questo punto, un pittore come Toulouse-Lautrec? Amante e assiduo frequentatore del noto Moulin Rouge, questo post-impressionista ci ha regalato una serie di opere d’arte in grado non solo di testimoniare quel mondo ma anche di promuoverlo, tanto che sono suoi alcuni dei più noti manifesti pubblicitari del controverso locale parigino.
Sono passati parecchi decenni da allora e nel corso dei secoli Pigalle ha continuato a proporre a visitatori e turisti in cerca di un po’ di trasgressione parte di quell’atmosfera che un tempo caratterizzava il quartiere. Nessuna traccia della vita intellettuale ottocentesca: a farla da padrone sono stati i locali notturni, i tipici bar americani (i night club) e gli spettacoli equivoci, che non hanno smesso di proliferare in quella che per molti anni si è imposta come zona a luci rosse della città. Fino a qui nulla di nuovo: chiunque sia stato a Parigi sicuramente non avrà mancato di fare visita, almeno dall’esterno, al mulino rosso che tanto ha fatto la storia del quartiere. Fotografie con il moulin sullo sfondo e qualche scatto al susseguirsi di sexy shop: una scena, questa, che ci suona familiare ma che, forse, non lo sarà ancora per molto. Ciò che attira oggi la nostra attenzione è, infatti, quel processo di trasformazione che negli ultimi anni sembra stia interessando Pigalle. A parlarne sono giornali del calibro del Journal du Dimanche, del New York Times e dell’italiano La Repubblica, che proprio in questi giorni stanno mettendo in luce come gli affitti nella zona stiano progressivamente aumentando (si parla di ben il 25% in più in dieci anni), come i locali notturni stiano chiudendo e come il quartiere della perdizione stia un po’ alla volta lasciando il posto a negozi bio, boutique di moda e, in sintesi, a un processo di gentrificazione. Un imborghesimento, quindi, che di questo passo porterà Pigalle a rinnegare parte della sua identità per trasformarsi in un nuovo arrondissement chic della capitale francese, proprio come è già avvenuto nel quartiere del Marais.
Dove più di un secolo fa si recavano pittori in cerca di estro creativo, scrittori amanti dei balletti provocatori, giovani e spregiudicate cocotte, forse presto ci sarà, quindi, un ricco quartiere parigino. Si stanno per spegnere, allora, le luci che un tempo ispirarono artisti e scrittori? Probabilmente sì, anche se guardando agli eccessi di un business più turistico che culturale, forse quelle luci si sono già spente da tempo…
Valentina Sala