“12 anni schiavo” è un film sconvolgente, commovente e raccapricciante. L’occhio della cinepresa indaga nell’animo umano con primi piani che mettono in risalto il travaglio non solo interiore ma anche fisico del protagonista, Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un uomo di colore che subisce una vera e propria ingiustizia e che si ritrova in una realtà a lui sconosciuta, quella della schiavitù. Siamo negli Stati Uniti del 1800. Nel Sud del Paese uomini schiavizzano altri uomini, considerati diversi e inferiori solo per il colore della loro pelle. Solomon, però, vive a Nord ed è una persona libera e rispettabile che suona il violino e ha una famiglia, ma le cose per lui si mettono male quando, con un inganno, è rapito e venduto come schiavo. Comincia per il protagonista una vera e propria odissea nel mondo cruento della schiavitù, dove l’uomo manifesta il suo lato peggiore ed esprime la propria rabbia sui suoi simili. La violenza esercitata dallo schiavista Edwin Epps (Michael Fassbender) sulla schiava Patsey (Lupita Nyong’o) non deve essere vista come un atto di forza del padrone, bensì come un momento di estrema debolezza e codardia. Epps, che è una persona con una psiche molto labile, ha la mania del possesso e quindi tratta i suoi schiavi come se fossero degli oggetti, perché ha pagato, dice in più di un’occasione, per averli.
La macchina da presa di Steve McQueen fa parlare i corpi con una lucidità disarmante. Gli schiavi sono immobilizzati nella loro condizione e lo stesso Solomon, nonostante mostri in più di una circostanza coraggio e il desiderio di ritornare alla sua vita per riappropriarsi dell’identità negata, si ferma; la telecamera inquadra così i suoi occhi disorientati, mentre il sole sorge e tramonta indifferente, regalando panorami spettacolari. Solomon però non si dà mai per vinto; e forse proprio la sua grande fiducia gli dà la forza di credere ancora negli uomini bianchi, con i quali egli ha costruito rapporti di amicizia e di stima reciproca nel Nord industrializzato e libero. Ed è proprio un abolizionista bianco, interpretato da Brad Pitt, che cambia il suo destino. Solomon è diverso dagli altri schiavi; la sua intelligenza e la sua capacità di adattamento diventano un limite in questo assurdo contesto, poiché per togliere la libertà a un uomo bisogna privarlo del diritto all’istruzione che conferisce a ogni individuo la capacità di pensare con la propria testa. Schiavi prima nella mente, dunque, e poi nel corpo. In “12 anni schiavo” , che è tratto da una storia vera, si è voluto raccontare l’altra faccia, quella meno nota, degli Stati Uniti, dove il razzismo purtroppo ha mostrato il suo lato più feroce; e a tal proposito la telecamera posa il suo sguardo, per un attimo, sui nativi americani, i quali incontrano lungo un sentiero alcuni schiavi, fra cui c’è anche Solomon. I due gruppi cominciano a danzare e a cantare insieme, solo per un brevissimo istante, reso intenso dalla forza evocativa delle immagini. Per questi due popoli, accomunati dallo stesso atroce destino, il ballo e soprattutto il canto erano l’unica fonte di distrazione, oltre che un modo per dare voce al grande dolore della libertà privata.
Trailer: http://youtu.be/r_4_kezC0bI
Maria Ianniciello