Può la presentazione di un libro essere un evento divertente, oltre che interessante, e diventare occasione di approfondimento gradevole, oltre che ricco di aneddoti? Ebbene sì, ieri sera, 28 marzo 2014, lo abbiamo scoperto grazie alla semplice ma efficacissima organizzazione all’interno della prestigiosa ed enorme libreria IBS di Roma, in via Nazionale, con la quale l’autore Enrico Gregori ha presentato il suo secondo libro sulla vita di Rino Gaetano, “E io ci sto ancora”, edito dalla casa editrice Giubilei Regnani. Insieme a lui, giornalista e amico intimo di Rino, la strepitosa “Rino Gaetano band”, cover band ufficiale in cui è presente il nipote dello stesso cantante calabrese, che ha deliziato il numeroso pubblico con brani di funzionale supporto ai racconti dell’autore. Con il suo stile scanzonato, il simpaticissimo Gregori – dopo aver ringraziato l’IBS quale patrimonio culturale affermando che «è la dimostrazione che la cultura, se fatta bene, può anche fare affari» – ha precisato che questo suo secondo libro (il primo era “Quando il cielo è sempre più blu”) parla di amicizia senza essere un’operazione nostalgia. Non sarebbe stato nelle corde del suo caro amico e tantomeno nelle sue, entrambi molto pragmatici, dal basso profilo. Il “fenomeno Gaetano”, a cui assistiamo in questi anni, con tanti giovani nati dopo la sua tragica scomparsa che amano le sue canzoni, non trova una spiegazione logica in Gregori che, pur avendolo frequentato assiduamente per anni, e forse proprio per questo, è lontano da ogni dietrologia, aloni di mistero o analisi introspettive dei suoi testi. Con la competenza del grande esperto musicale e la conoscenza diretta di Rino Gaetano, lui ha raccontato aneddoti interessanti sulla genesi di alcune canzoni, su determinate frasi diventate l’emblema della sua produzione, come “Gianna” e “L’operaio della Fiat”, esempio quest’ultima di come Rino «entrava nel sociale e nel politico, a volte, ma sempre in punta di piedi. Preferiva la strada dell’affresco, dell’allusione, sempre con ironia». Gustosi i racconti su come nascevano alcune strofe, nella massima semplicità, a volte solo per questioni di metrica, poi diventate oggetto di analisi, secondo lui quasi insensate, e sulle interminabili discussioni col suo amico sulla validità delle stesse. «Rino sceglieva sempre parole che si adattassero al ritmo delle canzoni», spiega ai presenti: «Lui era nato col beat, era pazzo per i Beatles, amava la metrica beat. Nella celebre Gianna, tutti ricordano la parola coccodrillo. E` stata oggetto di analisi che fanno ridere… qualcuno ha detto che era simbolica… simbolica di niente! Semplicemente a lui, in quel punto preciso della canzone, la parola coccodrillo andava bene per la metrica, per il ritmo della canzone, punto! Se ci fosse andata bene la parola cassapanca ci avrebbe messo quella! Questo non vuol dire che le sue canzoni fossero prive di significati, ma lui era così. Ci sono canzoni di puro divertimento alle quali sono stati attribuiti significati che non esistono». La serata è proseguita, tra una canzone e l’altra, con le sue considerazioni sulla fiction realizzata poco tempo fa sulla vita di Rino della quale Gregori, pur riconoscendo la bravura dell’attore Santamaria, disconosce quasi tutto, rivelando che le giornate dell’amico erano di noiosa ripetitività, che mal si sarebbero potute rappresentare in un film, per passare poi agli aneddoti sulla partecipazione a Sanremo che lui temeva perché convinto che lì ci dovessero andare «quelli che sanno cantare sul serio». Solo quando gli assicurarono che avrebbe potuto essere se stesso, si convinse. La presentazione si è avviata alla conclusione, prima dell’ultimo brano, con alcune considerazioni polemiche di Gregori verso coloro che hanno fatto della dietrologia sulla morte dell’amico e sull’ultimo periodo della sua vita; con un pensiero a Francesco Guccini che ha dichiarato che il suo unico rimpianto è quello di non aver mai convinto Rino Gaetano a cantare una delle sue canzoni e con l’ammissione sulla difficoltà, per lui stesso, di scrivere dei ricordi intimi del suo caro amico a cui «dava fastidio il pericolo di essere autoreferenziale». Prerogativa dei grandi personaggi. Quelli veri.
Paolo Leone