Club Dogo: “Non siamo più quelli di Mi Fist”, la recensione

Nel variegato mondo dell’hip hop italiano, i Club Dogo sembrano voler difendere a spada tratta la loro natura aliena, disprezzando i “copia e incolla” (tipico di molti rapper di oggi) e sfornando brani sempre diversi, talvolta conditi di melodie e suoni spiazzanti. E’ il caso dell’ultimo album “Non siamo più quelli di Mi Fist” (Universal Music), il settimo della fortunata carriera di Gué Pequeno e compagni. Un disco che ha debuttato al vertice delle charts ad inizio settembre e che resta ancora oggi ben saldo in top 10. Quattordici tracce nelle quali i tre artisti milanesi escono allo scoperto per abbracciare il nuovo e rivelare, con stile e qualità tecnica, la propria personalità, senza rinnegare il passato e quell’album, “Mi Fist”, da dove è partita la loro avventura in musica e che ha cambiato il volto dell’hip hop made in Italy.

“Non siamo più quelli di Mi Fist” è un titolo accattivante e sincero, una provocazione rivolta ai numerosi fan che, negli ultimi anni, hanno “accusato” i Dogo di aver mutato pelle. A dir la verità, Jake La Furia e soci si sono evoluti profondamente. Non solo la pelle, ma anche le ossa hanno nuova consistenza. La loro struttura artistica fa dell’esperienza e dell’innovazione musicale elementi fondamentali di una produzione discografica finalmente completa e curata nei minimi dettagli, con una precisione maniacale e chirurgica.

Le date del tour

Nato e cresciuto a Los Angeles, il nuovo album si avvale del prezioso aiuto di Demacio “Demon” Castellon (uno che lavora con Madonna, Justin Timberlake e Jay Z, per farvi capire) e tocca generi differenti, solleticando il rock, il reggae, la dance e l’elettronica. “Non siamo più quelli di Mi Fist” si apre con “Sayonara”, un brano che grida vendetta, realizzato in collaborazione con l’ottimo Lele Spedicato dei Negramaro (qui alle chitarre). In “Saluta i King”, i Club Dogo tornano a parlare della differenza tra il loro modo di rappare e quello di alcuni colleghi (“Jake scrive rime che frate tu capirai domani, di fianco a me sei indietro come le palle dei cani….ti spezzo il fiato frate, ti ci vuole il ventolin”), ma anche della loro vita fatta di soldi, donne e alcol (“zio, per vivere alla grande ci vuole il grano, mica quei quattro soldi che fate col micro in mano”).

Ed ecco “Weekend”, prima hit estratta dall’album. Un pezzo che ha conquistato le classifiche e invaso le radio per tutta l’estate 2014. Un brano nel quale compare (indirettamente) anche il buon Eros Ramazzotti. Che c’azzecca l’ex ragazzo nato ai bordi di periferia (romana) con questi tre loschi meneghini? Un campionamento ben riuscito di “Un cuore con le ali”, che in “Weekend” fa la stessa figura di una ciliegina su una torta. Gustosa. E, a proposito di dolci di qualità, ecco uno Zucchero anni Ottanta in “Sai Zio”, quarta traccia del disco (i Club Dogo citano il campione di “Overdose – D’Amore” di Mr Fornaciari, a conferma che gli opposti si attraggono, anche musicalmente parlando).

Inevitabile, per i Club Dogo, parlare quasi ossessivamente di soldi e di guadagni, di quanto il vil denaro migliori, suo malgrado, la qualità della vita anche se “non è tutto oro ciò che luccica”. Il brano “Soldi” riprende un vecchio successo di Betty Curtis (“Soldi Soldi Soldi” datato 1981). Un’altra importante collaborazione che si è concretizzata in “Non siamo più quelli di Mi Fist” è quella con Arisa. Alla notizia della nascita di un brano con l’ultima vincitrice di Sanremo, i fan hanno quasi gridato allo scandalo, imbarazzati, se non addirittura affranti da tal gesto. Eppure “Fragili”, scritto con Alessandro Raina (Amor Fou), è uno dei pezzi più forti e meglio riusciti dell’intero disco, premiato anche dalle vendite e dalla critica (alla faccia di chi “je vole male”).

Più debole e faticosa “Siamo nati qua”, che possiamo ascoltare a metà dell’album. Non è chiara l’identità musicale del brano, forse un po’ troppo stile 883 nella parte iniziale. “Lisa”, invece, è un siero dolce al veleno, una ballad, tra tragedia e romanticismo, dedicata ad una fanciulla che si prostituisce “che scappa la notte…e c’ha gli occhi blu dalle botte”, cresciuta per la strada, ferita da una vita dura e ingiusta che le ha lacerato il fisico e il cuore. Altra atmosfera in “Zarro!”, sprezzante e ironica col suo ritmo dance: “Sappiamo tutti che faresti per dei followers in più…non è che metti la bandata e sei Tupac Shakur”.

C’è anche la firma di Cris Cab, artista rivelazione di quest’anno con la sua “Liar Liar”, nel nuovo lavoro dei Dogo. E’ sua, infatti, la voce nella reggaeggiante “Start it over”, il cui ritornello resta impresso nella mente già al primo ascolto (preparatevi a ballarla e a canticchiarla come forsennati). Ancora un campionamento (ragionato e ben fatto) in “Dicono di noi”, undicesima traccia. Geniale la base che riprende i Jefferson Airplane (nella versione del sassofonista Tom Scott). In “Quando tornerò” c’è lo zampino dell’amico e collega Entics, cruda nelle parole che odorano di ricordi, sbandate, disincanto, di “cemento che non rinneghiamo”. “Non siamo più quelli di Mi Fist” chiude con la traballante e poco convincente “Un’altra via non c’è” e, fortunatamente, con la splendida “Dieci anni fa”, una canzone che diventerà presto un simbolo per i Club Dogo, una bandiera di coerenza e coraggio da sventolare con orgoglio, per non dimenticare la fatica degli inizi, quelle mani che si sono sporcate di sacrifici e di duro lavoro per costruire “l’autostrada del successo”.

Silvia Marchetti

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