La recensione de “Il Padrone della Festa”, il nuovo album di Fabi Silvestri Gazzè. Il disco, già primo in classifica, contiene le hit “Life is sweet” e “L’amore non esiste”
Che fosse un album ricco di emozioni e di storie da raccontare, di immagini suggestive e di sonorità ricercate, lo avevamo capito ascoltando il primo singolo, “Life is sweet”, per poi averne la conferma con il secondo estratto, “L’amore non esiste”, due brani così diversi ma vicini per meraviglia e intensità. Ora che l’intero disco è finalmente nelle nostre mani, e soprattutto nelle nostre orecchie, tutto ci appare più chiaro e definito. “Il Padrone della Festa” di Fabi Silvestri Gazzè è un capolavoro che abbraccia non solo signora Musica ma tutta l’Arte in sé. Nessun abbaglio, nessuna esagerazione. Né tantomeno “paraculaggine” in questo giudizio. Il trio romano ci ha sorpresi a suon di parole e note, senza presunzione, senza mai snaturare le proprie anime, andando a scavare nel passato per raccontare il presente e creare un futuro. Diverso. L’album, già primo in classifica (e ci mancherebbe altro), è un mosaico realizzato con tasselli di infinite tonalità e fantasie: ci sono l’ironia di Max, la poesia di Niccolò, la sensibilità di Daniele. Tre menti, tre talenti, tre cuori che si incontrano e decidono di incamminarsi verso una meta condivisa: la vita.
“Il padrone della festa” (Sony Music) contiene dodici tracce che possono essere lette come dodici capitoli di un unico romanzo emozionale. Il tema centrale è il viaggio, con tutto il bagaglio di esperienze e di soprese che hanno consentito a Fabi Silvestri Gazzé di scavare nel profondo e di far emergere una parte del proprio essere uomini e artisti che ancora non conoscevamo e che, nemmeno loro stessi, conoscevano. Galeotto fu il Sud Sudan, terra africana che i tre amici hanno scoperto e imparato ad amare. Di quell’esperienza così forte e appagante, fatta zaino in spalla con Medici Per l’Africa, Max, Daniele e Niccolò hanno tratto energia, idee e insegnamenti che, successivamente, hanno espresso in musica.
“Alzo le mani” è la prima traccia del disco. Il testo indaga sul nostro sentirci indifesi di fronte alla grandezza, alla forza e alla bellezza di Madre Natura, del nostro accorgerci finalmente di far parte di un pianeta i cui confini sono molto più ampi e indefiniti di quanto crediamo. Dopo “Life is Sweet” e “L’amore non esiste” (i due singoli di cui abbiamo già abbondantemente parlato nelle ultime settimane), “Il Padrone della festa” ci regala “Canzone di Anna”. Chitarra acustica alla mano, il trio ci parla di una ragazza e delle sue insicurezze, dei suoi “entusiasmi artificiali”. Anna è curiosa, spende più di quello che ha, appende foto di posti in cui mai andrà. “Anna con il suo nome che tanti hanno già cantato” ha solo bisogno di essere amata, per ciò che ancora non è, per i suoi 18 anni e per i figli che non ha. Un pezzo dolce e delicato, che suona leggero come brezza di libertà, che cavalca i sogna di Anna e i suoi sorrisi, rivolti a tutti, anche se dentro è insicura, triste e spaventata. Le note di un violino donano malinconia, quelle di un piano riportano alla realtà, fatta di carezze mai ricevute e di ricerca ossessiva di comprensione negli occhi altrui.
“Arsenico” è il brano più “strano” dell’album. Pare una filastrocca circense, suonata da una banda che marcia lungo le vie del destino. “Sai, fossi il Dio del tempo, io lo inchioderei proprio nel momento in cui, vestita di tempesta, non ti ho vista più”. Tromba e clarinetto accompagnano la voce di Max in un crescendo di emozioni e di ironia. Con “Spigolo tondo” si torna al ritmo incalzante e all’allegria, una sorta di scioglilingua, con Fabi e la sua chitarra in alternanza a cori onirici: “Ah! Se fosse vera questa immagine che ti migliora…La natura non propone angoli retti, è una sinfonia di contorni inesatti e da sempre si oppone al teorema dell’uomo che la vuole inquadrare…”. Vedere oltre le apparenze, andare al di là delle forme e dei colori, dei profumi e della sostanza, per toccare l’invisibile agli occhi, sognare l’imprevedibile, agguantare l’inafferrabile.
“Chi vuole ridere deve prima imparare a piangere, chi vuole vincere impari prima a perdere”. In “Come mi pare”, settima traccia del disco, Fabi Silvestri Gazzè dettano insieme le regole del soprav-vivere. E’ dalle sconfitte che ci si scopre più adulti, è dalle esperienze che mordono e fanno bruciare lo stomaco che si migliora. “Chi vuole scrivere impari prima a leggere”. Il talento non si improvvisa, le capacità non si inventano. Solo dal duro lavoro, dai sacrifici e dallo studio si diventa “dei grandi”, qualunque sia l’ambito nel quale si opera.
“Giovanni sulla terra” è un’altra bella storia da raccontare. “Che prezzo avrà rimanere se stesso?”. Una vita in salita, bloccata dalla paura che il proprio sudore sia “lo sforzo di un fesso”. Ne varrà la pena? Dicono che “il sole bruci chi sta fermo…”. Arrendersi alla triste realtà o continuare a combattere controvento? C’è un qualcosa di degregoriano nel testo e anche un assaggio dello stile di Lucio Dalla, anche se la fusione di strumenti, e la ricerca quasi ossessiva delle sonorità più disparate, rendono il pezzo unico e speciale.
“Il Dio delle piccole cose” (brano cofirmato dall’autore torinese Gae Capitano, vincitore del prestigioso Premio Lunezia 2012) parla di romanzi mai finiti, di voglie che non sono più diventate peccato. “Il dio aspetta la fine del cammino…chissà se ci ridà indietro le vite che abbiamo in sospeso…credo sia questo l’inferno e il paradiso”. “L’avversario”, invece, è un incontro immaginario sul ring della vita. Max ci presenta il suo contrario: “Io dico ciò che taci e faccio quello che non fai”. E’ il brano più rockeggiante del disco, con un ritornello incalzante. Forse i tre amici musicisti ce l’hanno con qualcuno in particolare, probabilmente con un cantante che si vanta di essere un fenomeno della musica ma in realtà canta paroloni che nemmeno ha scritto o di cui non conosce il significato. “Spettacolo eccezionale…chissà chi sopravvivrà…” canta Silvestri. Ritmo di bonghi e fiato alle trombe, per un sound orchestrale degno di uno show esplosivo.
“Zona Cesarini” utilizza una metafora calcistica per narrare la non-vita che spesso ci si ritrova a condurre, fatta di vincoli e termini da rispettare. “Dovrei cambiare, conoscermi, ma rimango immobile. Solo all’ultimo provo a combattere e provo a vincere. E mi metto in salvo in zona Cesarini, perché ci sei tu che mi perdoni”. “Il padrone della festa”, la titletrack, chiude l’album di Fabi Silvestri Gazzè. Il trio immagina un mondo in cui sono le donne, mogli e madri, a sedere nella stanza dei bottoni, a decidere per il bene dell’umanità. Provare a dare loro i comandi per capire come gestirebbero il futuro. “La vita media di una prospettiva è una campagna elettorale…”. E poi ci sono gli errori del passato che ancora paghiamo “causati dai giganti del potere”. La colpa è anche nostra, fermi a subire in silenzio in nome del progresso. Dobbiamo comprendere che “siamo ammanettati tutti insieme alla stessa bomba” e che i problemi degli altri sono anche i nostri. Questioni da risolvere camminando “fino alla svolta”, ora per ora, un passo alla volta. “Perché il sasso su cui poggia il nostro culo è il padrone della festa”.
Guarda il video di “Life is sweet”: https://www.youtube.com/watch?v=QY-ft6YXy48
Guarda il video di “L’amore non esiste”: https://www.youtube.com/watch?v=-umMDLbqtWs
Silvia Marchetti