La recensione del nuovo album di Paolo Conte “Snob”
Quarant’anni di carriera, quattro decenni di arte pura, di storie cantate e di poesie musicate. Paolo Conte è uno dei pochi esemplari di razza rimasti nel nostro Paese, un artista “alla vecchia maniera”, lontano dalle luci dei riflettori, da selfie, social e copertine patinate. Un artigiano delle note, che ama lavorare melodie e parole fino a dare loro forma perfetta. Lo abbiamo sempre visto schivo, distaccato (sì, a volte pare proprio antipatico), eppure affetto e ironia fanno parte della sua personalità, basta guardare gli occhi severi e scorgere dietro lo sguardo impassibile un mondo di semplicità e sensibilità. Basta ascoltare le sue canzoni, pregne di vita, di passione, di emozioni, di sostanza. Opere letterarie che sposano strumenti musicali, un pianoforte, una chitarra, una tromba, una fisarmonica, giocando a scacchi con la fantasia.
Quarant’anni di onorata e invidiata carriera, dicevamo. Da quel 1974 sono passati fiumi di album e di soddisfazioni per Paolo Conte. La pancia ormai piena, il cuore appagato, gli hanno suggerito a un certo punto di lasciare il mondo della musica e di posare le armi della creatività. Fortunatamente il Maestro ha cambiato idea, tornando sui suoi passi, ascoltando quella voce interiore che gli suggeriva, anzi, che arrivava addirittura a gridargli di proseguire il cammino nell’arte. Perché le storie da raccontare sono ancora tante e pungono nella mente come spilli incandescenti. E quando è così non puoi fingere e ignorare la loro scomoda presenza.
“Snob” è il nuovo album di Paolo Conte, in uscita oggi su etichetta Platinum. Sedici canzoni che accendono allegria, ricordi ma anche malinconia e tormenti, e che percorrono strade differenti per raggiungere luoghi vicini e lontani. “Si sposa l’Africa” apre il disco con il ritmo e il calore tipici del continente più affascinante del pianeta. La sposa con i suoi gioielli di legno, gli stregoni pronti a celebrare il rito delle nozze (con l’aiuto di un cellulare!) e gli dei che osservano dall’alto del loro potere, creano uno scenario magico e surreale. Una partenza scoppiettante e coinvolgente, che spalanca una finestra su una “provincia” solo apparentemente distante e diversa dalla nostra. In “Donna dal profumo di caffè” Paolo Conte seduto al piano ci racconta una storia d’amore sognata, immaginata, desiderata. Si rivolge a una donna all’aroma di caffè, affascinate e bellissima, che “ha un po’ di simpatia” per lui. E poi si vola in “Argentina”, precisamente a Buenos Aires, luogo incantevole dove “il cielo è riservato agli emigranti”. Conte descrive il gran baccano giù al porto, davanti a “un mare enorme americano che sciacqua un sogno vecchio ormai”. Il ritmo incalzante del piano avvolge le note di chitarra e accompagna l’inconfondibile voce del Maestro.
Ed ecco “Snob”, il brano che dà il titolo all’album, primo singolo estratto dal nuovo progetto di Paolo Conte. “Snob” è una parodia dell’essenza del provinciale che trova nelle sue radici e nel suo piccolo nucleo abitativo un rifugio e un tesoro d’insegnamenti e di tradizioni che solitamente la città fatica a offrire. “Sangue blu, tre cognomi, modi affabili…patè e champagne da favola…da snob. Noi di provincia le cose che cantiamo van ben per i soldati e i muri. Forse siamo noi così”.
Con “Tropical” si balla, travolti da un sound caraibico e si ride con un Paolo Conte particolarmente divertente, intento a descrivere un’Italia “artificial e subliminal” tra “tentanzion ambiental e sorriso abitual”. “Fandango” è malinconica, onirica, a tratti struggente, grazie anche alle note del piano, che divorano lo stomaco e colpiscono da far male. “Non mi toccare, non farmi tornare da te…”. Paolo Conte si ribella a un sentimento troppo forte e devastante, che talvolta prende possesso del suo essere e che pare impossibile da combattere. E poi c’è “Incontro”, sensuale e passionale, un volo di classe e di eleganza tra le braccia dell’amore, e la spensierata “Tutti a casa”, nella quale Conte ricorda la nebbia, le stanze, le strade piene di vita della provincia tanto stretta quanto adorata.
“L’uomo specchio” ci porta in un jazz club in cui l’odore di fumo e di malinconia si mescolano fino a confondersi. “Io specchio ti guardo e ti sorrido perché tu sai che sei per me tutta la vita” canta Conte quasi sussurrando. Si torna a ballare e a sorridere con “Maracas”, brano effervescente in dialetto genovese che narra di costumi e profumi famigliari; si riflette e ci si rilassa con “Gente (CSIND)”, canzone dalle infinite sfumature musicali, nella quale la chitarra acustica fa da padrona.
“Snob” prosegue con “Glamour”, dodicesima traccia del nuovo album. La voce di Conte si fa roca e graffiante per scavare nell’anima tormentata di un uomo che affoga nella sua solitudine e nei ricordi. Tormento che riemerge in “Manuale di conversazione”, tra fisarmonica e tromba, dove Paolo Conte immagina un camionista peruviano in difficoltà linguistica nell’approccio amoroso con una donna che gli ha fatto perdere la testa. “Signorina saponetta” e “Ballerina” scivolano via leggere e delicate, come le fanciulle (la prima “elastic”, la seconda “di legno”) oggetto delle attenzioni di Conte nelle due canzoni del nuovo disco.
“Snob” si chiude con la trionfale cavalcata di “Moschettieri al chiar di luna”, canzone che racconta le avventure di quattroeroi “dal cuore di leon” dispersi nella brughiera. Il sound ricorda vagamente “Vieni con me”, vecchio successo di Paolo Conte, canzone simbolo di questo straordinario artista visionario e intuitivo, poeta-cantastorie moderno (e mai snob) che continua a scrivere la storia della musica italiana e a stupirci con le sue creazioni in musica, orgoglioso e onesto come un fabbro nella sua piccola officina di provincia.
Silvia Marchetti