“Soap opera” è l’ultimo lavoro di Alessandro Genovesi, probabilmente il film più personale, non solo per l’evoluzione sul piano drammaturgico e dal punto di vista registico, ma anche perché ci fa entrare ancora di più nel suo mondo. La trama della pellicola, al cinema dal 23 ottobre, ruota intorno alla vita di vari personaggi, la cui quotidianità viene stravolta da una serie di vicissitudini.
Nell’affascinante cornice della Terrazza Martini di Milano, lunedì 20 ottobre, abbiamo incontrato Genovesi e alcuni attori del cast. “Soap opera” «riesce a portare un linguaggio lievemente diverso rispetto a ciò che siamo abituati a vedere nelle commedie e questo grazie alla sua cifra teatrale, di “realismo magico” nel quale lo spettatore viene proiettato», ha affermato Genovesi.
Il film nasce come un interessante progetto teatrale. «Era stato concepito come una mini-serie di quattro puntate, si prevedeva che il pubblico vedesse una puntata a settimana fino ad arrivare al giorno conclusivo in cui ci sarebbe stata una maratona», ha detto il regista. Visti i costi onerosi dovuti al folto cast e alla particolare scenografia, non è stato possibile realizzarlo sul palco, ma è lo stesso Genovesi ad affermare che, a posteriori, «la forma migliore di “Soap opera” sia quella cinematografica perché condensa in un’ora e mezza quello che nella vita normale potrebbe accadere in trent’anni e questo dà al film il ritmo da soap opera, in cui ogni tre minuti circa, ci sono degli accadimenti importanti». Teatrale è anche l’idea di compagnia adottata dal regista milanese, che sceglie di portarsi dai suoi lavori precedenti molti attori: Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi in testa per numero di film realizzati con Genovesi, seguiti da Ale e Franz e Chiara Francini, ai quali ha aggiunto, come new entry, Diego Abatantuono, Ricky Memphis, Elisa Sednaoui e Caterina Guzzanti. Tutti con stili di recitazione diversi e ben calibrati a servizio di un impianto volutamente finto che però non va mai sopra le righe. «Per noi era fondamentale mantenere il realismo nella recitazione vista la bolla di sapone nella quale lo spettatore entra, è un gioco di ingresso: pagare il biglietto per vedere un film e credere a una favola, poi c’è il realismo dei sentimenti che rende tutto credibile», ha dichiarato Cristiana Capotondi. Ci son voluti circa tre mesi per costruire a Cinecittà il microcosmo di questo condominio sulle ceneri del set di “Gangs of New York” di Scorsese. «Tutti i personaggi si muovono quasi in una “casa delle bambole” e, in contrapposizione a questa grande finzione, la recitazione doveva essere naturalista, altrimenti si sarebbe caduti nella parodia – ha sottolineato il regista – e poi si tratta di commedia nel senso di intrattenimento, non c’è la pretesa di cambiare la vita alle persone».
In questa pellicola De Luigi adotta un tono più melò proponendo un altro modo di far coppia con la Capotondi, la quale fa emergere il lato più romantico di sé. La Francini, invece, interpreta un’attrice di soap opera che, al di fuori dal set, «riesce a esprimere, quasi tramite epigrammi, quella che è la realtà» e rimane sedotta dagli uomini in divisa, come il personaggio interpretato da Abatantuono, sempre mattatore sia in conferenza stampa, sia nel film. E poi ci sono Ale e Franz, forse tra gli interpreti più teatrali, che richiamano, «con le dovute misure», Hamm e Clov di “Finale di partita” di Beckett (vedi la sedia a rotelle, il senso di colpa e il tenere l’altro in scacco).
Quindi, se “Happy family”, diretto da Gabriele Salvatores e scritto da Genovesi, era dedicato a coloro che hanno paura, “Soap Opera”, che attinge alla sfera più soggettiva, il regista-sceneggiatore lo dedica a coloro che vorrebbero un mondo migliore.
Ascolta Estratto Intervista Genovesi
Maria Lucia Tangorra