Damien Rice, il nuovo album una goccia pura in un oceano di rumore

La recensione di “My Favourite Faded Fantasy”, il nuovo album di Daniem Rice

Damien RicePoco tempo fa ho letto un libro che mi ha colpito parecchio. Il titolo si rifà a una frase che Bono Vox usò per descrivere Jeff Buckley “Una goccia pura in un oceano di rumore”. Il contenuto racconta di un artista non solo incredibilmente talentuoso, ma anche ironico, sfuggente, a tratti “egoista”. Un ragazzo che voleva emergere con tutto se stesso, ma che cercava di sfuggire con altrettanto vigore alle leggi della discografia internazionale che, mentre lo rendeva una star, rischiava di schiacciarlo.

Mentre ascolto ininterrottamente “My Favourite Faded Fantasy”, l’ultimo album di Damien Rice uscito il 4 novembre, mi torna in mente proprio quella frase. Senza fare paragoni impropri credo che essa riassuma perfettamente il modo con cui il cantautore irlandese si approcci alla musica. Damien Rice è una goccia pura in un oceano di rumore.

Entrato di diritto nell’industria musicale nel 2002 grazie a “O”, un disco che chiunque dovrebbe ascoltare almeno una volta nella vita, ha passato i dodici anni successivi cercando di scappare da case discografiche, critici musicali e forse da quegli stessi fan che ascoltando pezzi come “The Blower’s daughter” e “Delicate” hanno cominciato ad amarlo. Trovatosi a fronteggiare un mercato che impone ritmi frenetici, chiede dischi su dischi e che spesso antepone il guadagno al talento e all’artisticità, il cantautore di Dublino ha sempre rispettato se stesso. 8 anni tra un album e l’altro sono un’eternità al giorno d’oggi (l’ultima raccolta di inediti è “9”, datata 2006), ma se non ha nulla da dire, Damien Rice si ferma, aspetta, magari intraprende un viaggio in macchina verso Barcellona con l’intenzione di scrivere un pezzo al giorno o si trasferisce in una fattoria toscana per “scappare da se stesso”. Se non ha nulla da cantare, Damien Rice semplicemente, e diversamente dagli altri, non lo fa.

My-Favourite-Faded-Fantasy-Damien RiceE ascoltando il nuovo album “My Favourite Faded Fantasy” è impossibile pensare che non abbia ragione lui, che non abbia tutto il diritto di prendersi il suo tempo e il suo spazio. Questo disco vale ogni giorno di attesa e ricompensa i fan per la pazienza dimostrata.

Il primo pezzo, la title track, inizia con una voce dolce, acuta, quasi femminile. La mente inganna e va subito a Lisa Hanningan, ma due secondi dopo ci si ricorda che la cantante ha lasciato il gruppo anni fa e ci si rende conto che quello che stiamo ascoltando è lo stesso Damien Rice, che in uno splendido falsetto sembra salutare proprio colei che per anni è stata il suo alter ego femminile ” You could be my favourite taste to touch my tongue, I know someone who could serve me love but it wouldn’t fill me up, You could have my favourite face and favourite name, I know someone who could play the part but it wouldn’t be the same”.

L’album è diverso dai due precedenti, ma non è una rottura, è un’evoluzione. Si sente la mano geniale di Rick Rubin e si sente l’ispirazione tratta dai paesaggi islandesi in cui l’artista si è rifugiato. Gli arpeggi di chitarra elettrica, il grandioso arrangiamento degli archi, il suono dolce del piano avvolgono perfettamente testi in cui Damien Rice racconta se stesso, regalando attraverso l’interpretazione un’emozione al contempo intensa e delicata.

“It takes a lot to Know a man” è un brano d’altri tempi. 9 minuti in cui archi e pianoforte si sposano alla perfezione con gli arrangiamenti del produttore, ipnotizzando mediante un ritmo irregolare che avanza fino al culmine strumentale del pezzo. “The Greatest Bastard” ricorda il Damien Rice di un tempo, ma è “I don’t want to change you” a incantare sul serio. Una ballata semplice e intima in cui la chitarra e i “soliti archi” fanno da cornice a un testo che colpisce per la sua sincerità.

Nel momento in cui si ascolta “Colour me in” si ha quasi l’impressione di vedere Rice seduto per terra a gambe incrociate con una chitarra tra le braccia, mentre canta come se fosse uno qualunque. Il problema è che non lo è, quindi a metà la canzone si apre in un trionfo d’archi diventando forte e ariosa, per poi ripiegarsi di nuovo in un finale intimistico e quasi sussurato.

Damien Rice album
©fanpage

In “The Box” finalmente si può apprezzare per intero la voce del cantante, che non si trattiene più e urla tutto quello che ha da dire: “Don’t give me love with an old book of rules, That kind of love’s just for fools, And I’m over it”; mentre con “Trusty and true” si cambia registro, passando per un folk classico e finendo con un coro gospel. L’ultimo brano è “Long Long way”, la canzone che forse più si avvicina ai suoni di “O” e che pare rappresentare il passato che prova a tornare mentre il presente impone di andare avanti.

Di solito quando si ascolta un album si individuano i pezzi che amiamo di più, quelli che non ci piacciono e quelli che non ci convincono a pieno. Nel caso di “My Favourite Faded Fantasy” si fa fatica, tanta fatica. Ogni nota, ogni testo, ogni arrangiamento, ogni pezzo colpisce per un motivo o per un altro e alla fine, non ti resta altro che ammettere che quando un disco è fatto bene, te lo godi tutto, dall’inizio alla fine, senza catalogare o scegliere. Il cantautore di Dublino ha aspettato 8 anni e adesso è qui e ci regala un nuovo album che può essere riassunto con un solo aggettivo: bello, semplicemente bello. Sì, Damien Rice è una goccia pura in un oceano di rumore.

Vittoria Patanè

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