Il Capodanno appena trascorso è ormai associato, nella nostra memoria, a quanto accaduto a Colonia, in Germania, durante i festeggiamenti di mezzanotte. In pochissimo tempo un’onda di uomini, per lo più ubriachi, ha aggredito e molestato le donne presenti nella piazza davanti al Duomo, derubandole perfino. Abbiamo visto molti video davvero inquietanti e, purtroppo, non si è trattato di un evento isolato, dal momento che eventi simili si sono ripetuti nei giorni successivi in vari luoghi della Germania. Pare che queste aggressioni siano state organizzate via Internet, benché non ci sia ancora un accordo assoluto delle fonti. Come è potuta accadere una cosa simile nel cuore dell’Europa? Sono state fermate e interrogate 31 persone, tra queste vi erano 18 richiedenti asilo, la maggior parte, stando alle fonti, nordafricani. La polemica più grave ha coinvolto la polizia, che non sarebbe stata in grado di fermare lo scempio che stava avvenendo. A quanto risulta dalle notizie gli agenti sarebbero stati sopraffatti dalle chiamate di denuncia, molte delle quali arrivate subito dopo oppure addirittura ore e giorni dopo (siamo arrivati a circa cinquecento denunce finora). Leggerei racconti delle donne vittime di questi abusi è terribile e sconcertante. A poco servono le polemiche, in realtà basterebbe citare un documento, ovvero la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” (1948): “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” (art.3); “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato” (art.13). Questa Dichiarazione non può divenire lettera morta, o un’utopia, a causa della rassegnazione e della paura; neppure può essere interpretata o vi si può fare ricorso solo in situazioni di comodo. Tale documento, infatti, accompagna (o almeno dovrebbe) la Legge di ciascun Paese firmatario. Se è vero (e lo è) che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza di sé (tre concetti su cui si basano le nostre esistenze quotidiane), come stabilito anche dalle Costituzioni europee (e non solo, ma in questo caso ci concentriamo sull’Europa), ne consegue che chiunque violi queste basi di convivenza, al di là della fede o della nazionalità, non può passarla liscia. Abbiamo ricordato che ogni individuo ha anche il diritto di movimento e, in tal caso, rientrano sia i piccoli spostamenti quotidiani che i viaggi per trasferimento, turismo, studio, ricerca e via di questo passo.
Ciò significa che ognuno di noi ha diritto di trovare un posto in cui vivere serenamente (che può non essere il Paese natio) ma, nello stesso tempo, deve rispettare la libertà di movimento degli altri. Il tema dell’immigrazione è strettamente correlato all’articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo; il problema si crea quando chi migra da un luogo all’altro pretende di imporre il proprio modello di pensiero nel Paese d’adozione, non tenta di trovare alcun compromesso per adattarsi all’ambiente in cui vive o, peggio, viene istigato, tramite Internet o, comunque, dall’esterno, ad assumere un atteggiamento evidentemente opposto alla regole vigenti nella nazione in cui si trova. Dall’altra parte c’è l’Europa che non sa e non riesce a rispondere a un imponente flusso migratorio frutto di guerre, povertà, conflitti politici mai risolti. Di più: può capitare che tra queste “gocce d’acqua” che compongono il fiume dell’immigrazione, ve ne siano alcune avvelenate. Il problema è riconoscerle e smascherarle. L’Europa e le stesse nazioni europee hanno il dovere di garantire la libertà e la sicurezza e noi cittadini abbiamo il diritto di vedere rispettate le nostre leggi. Ciò è ben lontano dall’inutile e dannosa “caccia allo straniero” e da qualunque forma di razzismo; allo stesso modo sarebbe superfluo ricordare (ma lo facciamo lo stesso) che, per fortuna, i comportamenti selvaggi e animaleschi non appartengono né alla maggioranza dell’umanità, né a una categoria di individui (questo sì, è razzismo). Il tragico fatto di Colonia, però, rimane, con tutti i suoi strascichi di paura e di tormento, soprattutto da parte delle donne che hanno vissuto quei terribili momenti. Chi ha sbagliato deve pagare; è necessario accertare le responsabilità senza ombra di dubbio.
Prendersela con le donne, perché considerate “elemento debole” della società, perché non si approva il loro stile di vita e si ha un’idea deviata della femminilità è gravissimo. Per fortuna e lo ripetiamo, la maggior parte degli uomini presenti su questo piccolo e complicato pianeta non ha neppure bisogno di sentirsi dire che una donna ha gli stessi diritti di un uomo, poiché questo è un messaggio già interiorizzato. Le dimostrazioni di violenza bruta, soprattutto contro le donne e soprattutto in un contesto di conflitto (che sia armato o culturale poco cambia) non devono spaventarci, perché è il terrore quello che si vuole instillare nei nostri cuori. A tal proposito sarebbe interessante leggere il parere della filosofa ungherese Agnes Heller in merito ai fatti di Colonia, la sua memoria che torna indietro nella Storia, a fatti simili. La studiosa pone l’accento su una questione che andrebbe approfondita, ovvero la sessualità degli immigrati, tema non certo semplice da affrontare; giovani uomini che arrivano in Europa, spesso con una concezione del ruolo della donna molto diversa dalla nostra, i quali non riescono a trovare, qui, una compagna. Sulla consapevolezza o meno del reato conseguente il dibattito è aperto e per nulla semplice. Comunque tutto ciò non è e non sarà mai una giustificazione per ciò che è avvenuto la notte di San Silvestro a Colonia, ma rimane un argomento di cui sappiamo ancora troppo poco. Noi possiamo solo immaginare il terrore che devono aver provato le vittime e non possiamo voltare la faccia dall’altra parte. Il rischio concreto, infatti, è l’esasperazione e la ricerca della giustizia “fai da te”, che non può essere la norma in una nazione civile e democratica. Servono risposte concrete da parte dei Paesi europei e della stessa Unione Europea. Esistono delle leggi e vanno rispettate da tutti, indifferentemente dalla nazionalità o dal credo religioso. Vivere in una realtà diversa da quella in cui siamo nati vuol dire anche rispettare il background culturale che il popolo autoctono ha costruito nei secoli; certo, possiamo esprimere la nostra opinione, dialogare, ma mai imporre o costringere.