L’Islam è una religione iconoclasta? Per molti la risposta a questa domanda è del tutto scontata, soprattutto guardando agli attentati che, negli anni, si sono susseguiti dopo la pubblicazione di vignette satiriche che ritraevano il Profeta Maometto. Ancora una volta, però, la questione è di gran lunga più complessa e non riconducibile a un semplice sì o no. L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo impone una seria riflessione, oltre che una pronta reazione nei confronti di chi predica la violenza, che nulla ha a che vedere con la religione. Nessuna fede che possa definirsi tale richiede spargimento di sangue. Detto questo è giusto e doveroso analizzare le radici di una questione rilevante come quella del ruolo delle immagini nell’Islam, per capire cosa sta accadendo oggi. Primo punto fondamentale: nel Corano non vi è alcun divieto esplicito di rappresentare essere viventi e, nello specifico, il Profeta Maometto. Esistono, invece, degli hadith (ovvero i detti del Profeta) che proibiscono la rappresentazione tanto di Maometto quanto di qualunque altro essere vivente. I motivi principali per cui questo divieto è stato ripreso dagli eruditi musulmani che si sono occupati del diritto islamico sono due: il timore che le immagini potessero, in qualche modo “osare” imitare la Creazione di Allah e divenire oggetto di idolatria. Di fatto, però, esistevano e, in molti casi sono arrivati fino a noi anche più di resti e tracce, miniature che ritraggono il Profeta; a volte il suo volto è cancellato oppure coperto da una fiamma, altre volte viene, invece, riprodotto senza alcun tipo di occultamento. Sia in epoca Omayyade che Abbaside non furono rare le rappresentazioni umane, dipinti, ritratti, statue, interi cicli di raffigurazioni di inestimabile valore artistico e storico. Persino esemplari di monete coniate dai primi musulmani recavano l’effigie del sovrano, benché non fosse la norma e, in effetti, la storia della numismatica islamica seguì un corso a sé stante. Ciò che risulta guardando la storia dell’arte islamica è una forte tendenza a non raffigurare esseri viventi, inclinazione, però, molte volte smentita, a seconda delle epoche, dei territori e della volontà dei sovrani. Tentare di paragonare l’arte islamica a quella occidentale è inutile e fuorviante, soprattutto perché entrambi i modi di “raffigurare il mondo” sono nati e si sono sviluppati in modo differente, seguendo canoni, obiettivi e modi di pensare l’arte in sé e la realtà che non seguono strade parallele. Quando, poi, il confronto mirasse a stabilire a quale delle due forme spetti un “primato di superiorità”, sarebbe meglio abbandonarlo del tutto; si tratterebbe solo un giochino superfluo, dannoso, basato su un tipo di ricerca e di terminologia scorretta e che non ha ragion d’essere per chi davvero ama l’arte. Inoltre bisogna tenere conto di altri fattori per nulla secondari: la questione del divieto di raffigurare essere viventi inevitabilmente tocca il tasto religioso, come ben si sa e anche quello politico e può capitare che i due ambiti si mescolino, complicando ulteriormente la faccenda. Dunque l’Islam è una religione che non si pone sempre e comunque contro qualunque tipo di raffigurazione, in passato come anche oggi. L’argomento, già poco lineare, diventa ancora più controverso quando si parla di immagini religiose, poiché in tal caso, come risulta evidente, una loro inequivocabile ammissibilità non c’è e non c’è mai stata. Una simile, complicata relazione tra l’Islam e la raffigurazione di essere viventi è stata estremizzata dai jihadisti che non tengono affatto conto della storia artistica musulmana (alcuni neppure la conoscono), mentre l’Occidente si è fermato troppo spesso a un contatto superficiale con questo tipo di arte. L’arte islamica non può essere etichettata come “povera”, perché non lo è mai stata (Cosa sono gli arabeschi se non una preziosa forma artistica? E la calligrafia, per cui esistono perfino dei corsi per studenti di arabo e che si basa su una bellezza estetica della lingua? I monumenti, le miniature e le moschee?). C’è ancora molto da imparare e tanti pregiudizi da superare. A tutti noi spetta il compito di guardare cosa c’è oltre il velo di Maya.
Francesca Rossi