Terrore in Iraq. La morte di Samira al-Nuaimy

samira_al-nuaimiL’Isis continua a colpire, a seminare morte e paura in una sorta di “gioco” tremendamente serio e mortale, in una specie di spirale di cui ancora non si vede la fine.

Vittime, quasi sempre, le donne. Soprattutto quelle istruite, alle quali i libri hanno insegnato il senso della libertà e della piena espressione di se stessi. Il rischio, per loro, è così grande che perfino l’Onu ha ritenuto opportuno rimarcare tale concreto pericolo in un recente rapporto sulla situazione in Iraq e Siria.

Anche oggi, purtroppo, torniamo a parlare di un tragico evento che vede coinvolti l’Isis e una donna. Di nuovo una violazione dei diritti portata alle estreme conseguenze e che nessuno è riuscito a evitare.

A questo punto è d’obbligo una precisazione che faccio ogni volta e non mi stancherò mai di ripetere: l’Isis non rappresenta l’Islam, ma una distorsione, una deviazione dal messaggio e dalla corrente di pensiero dominante nel mondo arabo-islamico. L’odio verso l’Occidente e ciò che esso rappresenta non è un elemento nuovo dal punto di vista politico e storico, ma è un fattore che caratterizza i fondamentalisti. Come ha sottolineato anche il Presidente Obama, non si deve combattere contro l’Islam, ma contro i terroristi e con questi non bisogna scendere a patti.

Il fatto, poi, che organizzazioni jihadiste come l’Isis vengano finanziate anche da alcuni governi non cambia il senso di quanto espresso ma ci restituisce un quadro geopolitico complicato, intricato, sfaccettato, in cui delineare in maniera netta i confini dei vari interessi, tra cui quello economico, non è sempre facile.

Un paradosso? Solo apparente e la storia che sto per riportarvi può, in parte, contribuire a spiegare.

Samira al-Nouaimy era un’avvocatessa impegnata nella difesa dei diritti delle donne e delle minoranze in Iraq. Ecco, dunque, un’esponente del pensiero moderato, una donna colta, araba e sostenitrice di diritti imprescindibili come la libertà (nel mondo arabo vi sono molti esempi simili a questo e la cosa non deve stupire).

Samira era anche molto attiva sui social network, in particolare Facebook, che usava non certo come passatempo (o perdita di tempo, il confine può essere labile), ma per uno scopo più nobile: continuare la difesa dei più deboli.

Nei suoi post aveva criticato duramente anche l’Isis firmando, così, la sua condanna a morte.

Il 17 settembre è stata prelevata dalla sua abitazione, dopo aver rifiutato di ritrattare quanto scritto, torturata per cinque giorni e, dopo aver subito un processo farsa, accusata di apostasia e condannata a morte.

Non si sa ancora come sia avvenuta l’esecuzione, ma le fonti Onu e giornalistiche hanno riportato due particolari agghiaccianti: la sentenza è stata eseguita pubblicamente, a Mosul, e il corpo dell’avvocatessa abbandonato sul ciglio di una strada.

Una storia di barbarie e crudeltà come ce ne sono ancora troppe e che vorremmo non accadessero più.

Pensando a Samira è impossibile non ricollegare a lei un’altra figura, quella di Malala e non solo per una questione di coraggio e di violenza subita, ma perché entrambe hanno espresso a parole e con la scrittura delle opinioni valide, forti ma mai volgari, mettendo a repentaglio la loro stessa incolumità. Entrambe conoscono il valore dell’istruzione, proprio ciò che gli estremisti temono, poiché quasi solo menti offuscate dall’ignoranza e dai pregiudizi possono essere manipolate con facilità.

Insomma, di solito più il cervello è pieno di cultura, meno probabilità ci sono che possa saturarsi con assurdi dogmi di vendetta e odio che non poggiano su alcuna base se non quelle della follia e della malvagità benché, lo sappiamo bene, quanto appena detto, purtroppo, non si realizzi sempre come regola assoluta.

I cattivi esempi, come i cattivi maestri non devono diventare un alibi per l’oscurantismo, ma uno stimolo maggiore verso la ricerca della libertà senza compromessi, fondata sul rispetto e sul dialogo, nella vita vera e in quella virtuale, in tutto il mondo.

Francesca Rossi

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