La frana si abbatté mentre erano a tavola nella grotta sulla spiaggia, tra sculture monumentali e sussurri d’acqua da una piscina rotonda in cui nuotavano murene variegate. Quanti i morti non si sa. Come tutti i romani, il proprietario della villa diffidava del mare, non vi si immergeva nemmeno d’estate, e invece il disastroso movimento del terreno arrivò dall’anfiteatro di colline retrostanti. Era l’anno 26. Sono per lo più tedeschi e inglesi quelli che sanno della aristocratica dimora adagiata su trecento metri di lido sabbioso appena a nord di Sperlonga. Quel luogo di meditazione, rimasto senza traccia d’uomo, non è però impossibile, può individuarlo chiunque percorra l’Appia da Roma a Terracina e poi per la Via Flacca scenda lungo la costa fino a Gaeta, purché non si lasci distrarre dalle tante favolose vedute. L’impossibile va conquistato.
Anziché ripristinarla, il proprietario abbandonò l’aristocratica dimora per costruirsene un’altra. Impossibile pure questo, direte, ma lui poteva permetterselo, era Tiberio imperatore di Roma. Scelse Capri, allora isola di sole capre, perfetta per continuare a meditare nei silenzi. Non per farvi turismo d’occasione ma per viverci a modo suo, tenendosi a distanza dal mare, sul promontorio nordorientale. Ancora oggi la residenza di Tiberio la raggiunge a piedi solo chi ce la fa. Suggerirei di andare alla villa imperiale di Sperlonga anzitutto per scoprire che i modi più sadici per maltrattare capolavori d’arte non sono invenzione odierna. Nel primo Medioevo il peggio accadeva già. Un gruppo di monaci occupò la villa di Tiberio, devastò la scenografia progettata per integrare mare e terra, ne ridusse spietatamente in frammenti le statue ‘pagane’ e… regalò una quantità di rebus pazzeschi a chiunque fosse poi venuto in mente di recuperare immagini, forme, significati. È venuto in mente agli archeologi, che di quei gruppi scultorei son riusciti a ricomporne qualcuno, in percentuali sufficienti per indicarli come capolavori assoluti, ed è un percorso di studio e di restauro da completare utilizzando le migliaia di frammenti sopravvissuti. Sogno, questo, di un viaggio da sognare nell’attiguo Museo statale, un museo impossibile carico di speranze culturali.
Lì la bellezza evoca un mito greco attualissimo, a cui molto devono arte e letteratura, storia e psicanalisi. Proprio nell’area del Circeo il poeta Omero racconta nell’Odissea che approdò Ulisse, simbolo della eterna curiosità umana per l’ignoto. Lo aspettava Circe, la maga “dai bei riccioli e dalla bella voce” che trasformò in porci i suoi uomini e per un anno intero ammaliò l’eroe impossibile da fermare. Nel Museo dialogano di nuovo tra loro le statue che Tiberio aveva voluto per creare visioni teatrali nello scenario della sua villa: Circe maga, la Nave di Ulisse sulle onde agitate, l’Accecamento di Polifemo ubriaco, mosaici, terrecotte, dipinti. E l’osservatore, nel vedersi fisicamente piccolo, va col pensiero ad architetti, pittori, ceramisti, mosaicisti, scultori sconosciuti. Qualche fotografia può darne un’idea, ma sensazioni, emozioni e conoscenza sono lì, a Sperlonga.
ELIO GALASSO