Scritto a quattro mani da Schlender Brent e Tetzeli Rick, il libro Steve Jobs Confidential racconta l’uomo e il mito dietro la rivoluzione tecnologica dell’universo Apple.
Era difficile intervistare Steve Jobs. Ad ammetterlo candidamente è proprio Schlender Brent nel libro inchiesta Steve Jobs Confidential edito da Sperling e Kupfer e scritto con Tetzeli Rick. Il reporter di Fortune e del Wall Street Journal di San Francisco racconta di uno dei suoi primi incontri col demiurgo del “social” computer e di come rimase esterrefatto nel momento in cui, in una magica inversione di ruoli, l’intervistato si fece intervistatore e iniziò a fare domande a raffica al giornalista. Steve era curioso, vivace ed estremamente intelligente e Brent, che ci tiene a precisarlo anche nel volume attraverso una serie di aneddoti romanzeschi, mira a ricostruire, attraverso fonti biografiche e documentarie, la vicenda del ragazzo prodigio di Cupertino (nella Silicon Valley) spogliandolo dell’alone epico e riportandolo ad una dimensione schiettamente quotidiana, per non dire prosaica. «A ventidue anni aveva già capito cosa rendeva Sony e Intel due grandi aziende», dice il suo mentore Regis McKenna, e per questo motivo il giovane talento progettava di costruire, tassello dopo tassello, un sofisticato mosaico di tecnologia “friendly” che avrebbe cambiato per sempre l’interazione uomo-macchina ed il mercato globale dei personal computer. Anche il colosso Microsoft aveva i suoi segreti per il successo, ma tanto il marchio di fabbrica di Bill Gates, quanto Sony e Intel, avevano dimenticato un piccolo particolare: l’individuo. Così, lungo le tappe di un avvincente romanzo di formazione in pieno stile “american dream”, Steve Jobs, uomo dal talento duttile, stratega del marketing e scaltro creativo con vocazione imprenditoriale, iniziò la scalata verso il successo a partire dalla minuscola azienda “a conduzione familiare”, nel garage di casa con l’amico e suo omonimo Steve Wozniak. Qui, a Los Altos, col fidato collega conosciuto nel 1969 Jobs aveva iniziato a produrre circuiti stampati e in seguito si dedicò alla prima Blue Box Digital, macchinario in grado di riprodurre le frequenze dei commutatori delle compagnie telefoniche. L’oggetto della tecnica cessava di essere un “mistero irrisolto” e diveniva materia vivente da plasmare per poter essere riproducibile e completamente al servizio del fruitore. E non poteva essere altrimenti in quei luoghi, Palo Alto e San Jose, in cui crescevano giovani talenti in grado di manipolare la materia elettronica per trasformarla in “capitale umano”. Radio a transistor, impianti stereo e qualsiasi altro oggetto tecnologico poteva essere assemblato e disassemblato al fine di comprenderne alchimie e segreti. C’è tanta poesia in questo. E ce ne fu tantissima nella vita intera di Steve Jobs, appassionato di Shakespeare e Melville, di Bob Dylan e Van Morrison, dei Grateful Dead e Janis Joplin. Un paradosso vivente, ecco cosa fu il patron della Apple: sfrontato hippie con attitudine al misticismo indù e poi a quello buddista, imprenditore schizofrenico e impertinente, maestro del marketing e uomo d’affari con vocazione capitalista. L’incongruenza, come scrive l’autore del libro Steve Jobs Confidential, la si poteva notare nel suo procedere a piedi nudi con jeans sdruciti e t-shirt consumata verso la sua lussuosa Mercedes Benz. Ma torniamo al principio. I due Steve (Wozniak e Jobs, l’uno genio e sregolatezza, l’altro asceta con vocazione affaristica) agli inizi degli anni ’70 misero a segno il colpaccio: cinquanta schede madri in pronta consegna a Paul Terrell, proprietario della Byte Shop di Mountain View. Da allora fu un percorso costellato di delusioni cocenti e grandi trionfi. Parafrasando il secondo capitolo del libro, Steve Jobs “non voleva essere un uomo d’affari”, ma lo divenne grazie a Paul Jobs, il padre adottivo che lo iniziò ai segreti del bricolage e a Wozniak che lo erudì sulle potenzialità dei microprocessori. Iniziò così a capire quanta importanza avesse il dettaglio estetico nella fabbricazione di un prodotto, che fosse il mobiletto di casa riparato dal padre o il primo Macintosh che debuttò nel 1984. Per tutta la sua vita ebbe felici collaborazioni e strinse sodalizi che sfociarono poi in fraterne amicizie, come quella allacciata con John Lasseter, animatore della scuderia Pixar, mentre con l’imprenditore informatico Ed Catmull mantenne un rapporto cordiale di stima reciproca. Steve Jobs Confidential, rispetto al mare magnum di materiale celebrativo e spudorato edito dopo la sua morte mantiene un tono strettamente confidenziale, alternando divertenti aneddoti di vita quotidiana a testimonianze di amici, colleghi e personalità di spicco del mondo imprenditoriale informatico e non solo. Gli autori mettono a fuoco la storia di Steve Jobs dalla fondazione della Apple fino ai successi rivoluzionari dell’iphone e dell’ipad, soffermandosi sul lungo esilio dall’azienda della mela (dal 1986 al 1997) che contribuì, a mo’ di terapia, a modificare i lati spigolosi di un carattere ribelle. Quando parla di Steve, l’autore Brent Schlender lo avvicina a se stesso per via della sua natura piccolo-borghese e lo definisce un prevaricatore illuminato poco nostalgico (“perché guardare al passato ?” sostiene durante un’intervista) e fermo sostenitore di due “ismi” ossimorici: affarismo e ascetismo. Fu nella stravaganza eclettica che crebbe Jobs, dissennato e testardo, purificato dal karma di Ram Dass, yogi di origine ebraica e avvelenato dai conflitti sorti con i tanti avventori spavaldi che cercavano di contrastare la sua ascesa. Il libro non assolve ad una funzione agiografica, né intende celebrare a tutti i costi l’uomo che rivoluzionò l’industria dei computer, ma è una cronaca fedele e minuziosa di un racconto americano di rivincita e riscatto che scava anche nel suo vissuto personale, come quando l’attenzione è rivolta al matrimonio con Laurene e alla nascita dei figli; il “Lisa”, il primo pc dotato di mouse, interfaccia grafica utente, scrolling fluido e finestre sovrapponibili fu il pre-Macintosh, apparecchio chiamato come la figlia prima ripudiata e poi accolta senza remore. Pagine di primo piano sono dedicate ai numerosi scontri fra titani, Jobs contro Gates, due esponenti della triade responsabile delle numerose rivoluzioni tecnologiche dell’era moderna, insieme a Andy Groves, mentre il “medioevo” illuminato di Steve Jobs, il decennio trascorso fuori dai cancelli della Apple a causa del suo allontanamento, è descritto come un lungo percorso di riabilitazione in cui lo stesso Jobs ripensò il suo mantra, think different, e lo applicò a se stesso, impegnandosi a modificare il suo carattere burbero e la sua esuberante tracotanza. Il suo rientro in azienda coinciderà con la creazione, dopo la cessione della NeXT e l’acquisizione della Pixar dalla Lucasfilm, con il periodo aureo del suo lavoro, ma anche con i primi sintomi di un male, un tumore al pancreas, che lo avrebbe condotto ad una morte precoce. Oggi abbiamo i suoi prodotti, frutto (una mela ovviamente) di un lungo lavoro che ripensò il concetto stesso di tecnologia: unione di design all’avanguardia, facilità di utilizzo, accattivante estetica e impeccabile resa tecnica. Chiunque ricorderà la campagna pubblicitaria in cui Jobs e il suo staff celebrano la creatività dell’individuo e tutti coloro che sono ribelli e anticonformisti attraverso le immagini dei grandi del passato – Einstein, Lennon, Picasso, Miles Davis, Martha Graham – che, sfilando tutti insieme, strizzano l’occhio ai creativi di oggi. Steve Jobs confidential è la cronistoria romanzesca non solo di un genio sui generis, ma l’avventura vissuta da ognuno di noi attraverso gli strani, nuovi mondi di una tecnologia sempre più a misura di uomo e, soprattutto, di creativo.
Vincenzo Palermo