La recensione del nuovo album, uscito il 1 dicembre
Mai vigilia fu più colma di dubbi, invece questo Rock or Bust, quindicesimo album in studio degli AC/DC uscito il primo dicembre, sorprende e delizia per forza, grinta, voglia di andare avanti nonostante tutto e tutti. Nonostante l’età, nonostante le critiche, nonostante una malattia traditrice abbia costretto Malcom Young a uscire dal gruppo dopo più di quarant’anni. Un’assenza che pesa come un macigno, ma che Angus & Co. sono riusciti ad esorcizzare, sfornando un disco degno dell’heavy metal a cui ci avevano abituato negli anni ottanta.
Undici pezzi, tra inediti e cover, che arrivano a sei anni dal successo planetario di Black Ice, che con ben otto milioni di copie vendute ha ricordato al mondo chi sono gli AC/DC e quanto contano nel panorama musicale internazionale. Perché quando sai fare musica, sai farla sempre. Verità che vale ancor di più per Rock or Bust, album interamente registrato al celeberrimo Warehouse Studio di Vancouver e curato dalle mani sapienti di Brandan O’Brien (produzione) e Mike Fraser (mixaggio).
L’heavy classico che abbiamo imparato ad amare negli anni c’è tutto, così come i potenti riff di Young, l’energica batteria di Rudd (che a sessant’anni dovrebbe spiegarci come fa ancora a picchiare così sulle pelli), il corposo sound del basso di Williams, ma soprattutto l’inconfondibile graffiato di Johnson. Un disco che non vediamo l’ora di ascoltare live, immaginando già lo sfrenato coinvolgimento del pubblico (a proposito, si vocifera di un’imperdibile data italiana) intento a cantare il ritornello di Rock or Bust, la title track che apre l’album e che fa capire immediatamente quanto le incertezze della vigilia fossero infondate. Un brano nel pieno stile del gruppo rock australiano che non sfigurerebbe accanto a un pezzo come Snowballed e il cui intro fa pensare (con il dovuto rispetto) quello di Highway to Hell.
Play Ball è un quattro quarti esemplare che si eleva durante l’egregio assolo di chitarra il cui unico, ma non trascurabile, difetto è la brevità (dovrebbero proibire per legge quelli inferiori al minuto); Rock the blues away è il tipico brano d’impatto che ti entra in testa e non esce più, ma è Miss Adventure a centrare dritto il punto con un riff eccitante e trascinante.
Dogs of War meriterebbe una citazione solo per il finale in cui Angus e Johnson ci regalano un duetto che ricorda il loro glorioso passato, mentre con Rock the House si torna indietro nel tempo inseguendo l’esaltazione sonora caratteristica degli anni settanta.
Nel complesso Rock or Bust è un album completo, forte. Certo, le vette di Highway to Hell o Back in Black sono ormai lontane, ma a più di 60 anni e con 40 anni di storia musicale alle spalle, i componenti della lband australiana riescono ancora a regalarci un gran metal e a farci pogare con il loro rock blues penetrante e unico. E che gran peccato non aver potuto ascoltare Malcom Young, con lui questo grande ritorno sarebbe stato ancora più efficace.
Vittoria Patanè