Ci sono due correnti filosofiche, due modi di intendere la vita e di reagire agli eventi che erroneamente consideriamo avversi. L’uno si basa sulla ceca rassegnazione; l’altro sull’attivismo ad oltranza che spesso si tramuta in ostinazione. I componenti della prima corrente di pensiero si sono rassegnati agli eventi e reagiscono ad essi con un cupo pessimismo che non possiamo definire nemmeno leopardiano. E` piuttosto un atteggiamento di chiusura nei confronti del cambiamento e di totale vittimismo. L’alternarsi di questi due comportamenti si evince bene nel film L’equilibrio. La macchina da presa di Vincenzo Marra si muove con cautela riprendendo spesso di spalle il protagonista, don Giuseppe. Il prete chiede di essere trasferito da Roma in Campania, la sua terra natia. Comincia a dire messa in un piccolo paesino alle porte di Napoli, dove la droga e la Camorra sono le padrone indiscusse. Don Giuseppe non si rassegna e cerca di aiutare le persone del posto che al contrario sono rassegnate. Il parroco è talmente ostinato da mettere a repentaglio la propria vita e quella delle persone che decide di sostenere. La gente del paese al contrario è come se fosse stata anestetizzata dalla paura. Tutti fanno finta di nulla, comprese le suore e l’ex parroco. Ma tra questi due modi di fare esiste una terza via? C’è una maniera differente di reagire alle difficoltà, magari più sana e più salutare? Lucia Giovannini nel libro Tutta un’altra vita (Sperling & Kupfer) dedica un intero paragrafo a questo argomento, trovandomi completamente d’accordo su più punti. La Giovannini usa un termine che può essere oggetto di fraintendimenti che è accettazione.
“Accettare gli eventi ineluttabili richiede forza, coraggio, volontà e determinazione ad andare avanti. Vuol dire prendere atto di come stanno le cose, ascoltare la chiamata del cambiamento, smettere di nascondere la testa sotto la sabbia, riconoscere ciò che sta accadendo ed essere onesti con se stessi”, si legge nel libro. Chi si sforza di cambiare le cose anche quando non è possibile o chi al contrario nega i propri sentimenti e ciò che sta accadendo sta usando due modi diversi e allo stesso tempo analoghi (in quanto al risultato) di vedere le cose, perché sia se ci si sforza, sia se ci si rassegna, interpretando il ruolo della vittima, siamo sempre di fronte ad un atteggiamento innaturale e forzato. Accettazione al contrario fa rima con osservazione. Vuol dire guardare a ciò che ci accade senza giudizio ma con uno sguardo largo e contemplativo. Sempre Lucia Giovannini scrive: “Accettazione significa osservare ogni parte di noi e della nostra vita, anche quelle scomode, che non ci piacciono e che desideriamo cambiare. Affinché l’accettazione avvenga occorre osservare senza giudizio, con sincera curiosità”.
Quando ci irrigidiamo nelle nostre posizioni, inquiniamo la capacità di cogliere le sfumature alterando le risposte che diamo agli eventi. “L’idea – precisa la Giovannini – non è quella di fare finta di niente, né di raccontarci che tutto vada bene quando non è così. Si tratta di prendere atto della realtà mantenendo l’osservazione il più pulita possibile senza inquinarla con idee fisse e preconcetti”. In questo modo potrebbero arrivare altre soluzioni per quel problema oppure no però in ogni caso abbiamo dato una risposta diversa che, se costante, crea una nuova rete neuronale facendoci trovare risorse dentro di noi impensabili. Questo modo di vedere e concepire la vita è al centro del Taoismo, la cui scuola è antichissima e si basa proprio sul concetto dell’osservazione. Io la sposo appieno, però ci vuole allenamento. Così come il nostro corpo va allenato, anche la mente necessita di esercizio quotidiano per uscire dalla rassegnazione o dall’ostinazione.
“Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza”.
(Reinhold Niebuh)
E tu sei ostinato o sei rassegnato? Prova a farti più domande su come conduci la tua vita cercando di trovare le risposte non all’esterno bensì dentro di te. E… se non arrivano aspetta. Rimandare a domani il proprio benessere aspettando una ricompensa divina in un’altra dimensione è controproducente perché non sappiamo cosa ci attende dopo la morte. Ciò che sappiamo è che abbiamo un unico momento: il presente. Il passato è morto e il futuro non esiste. L’unico modo per stare nel presente è concentrarsi sul corpo e sui segnali che ci manda acuendo i sensi. Lui non mente, mai. Ci sono persone invalide che riescono comunque a darsi una seconda chance. Gente che ha perso tutto e che trova dentro di sé una risposta agli eventi migliorativa e non limitante. Facciamoci ispirare da queste persone. Facciamoci ispirare dalla natura accettando ciò che ci capita soprattutto quando le cose non possono essere cambiate.
Dott.ssa Maria Ianniciello, naturopata ad indirizzo psicosomatico e giornalista pubblicista