Novità per quanto riguarda l’Alzheimer, la grave malattia neurodegenerativa che colpisce i neuroni, i quali vengono intossicati e uccisi dall’accumulo nel cervello di proteina beta-amiloide. Il morbo di Alzheimer è una grave forma di demenza senile caratterizzata da deficit mnemonici e dell’apprendimento. L’Università Cattolica, il Policlinico Gemelli nonché il Fatebenefratelli di Brescia e Roma hanno effettuato un test su 141 soggetti colpiti da disturbi della memoria e quindi con un alto rischio di ammalarsi di Alzheimer. Gli esami avevano come obiettivo la misurazione del rame libero (cioè che si muove nel sangue liberamente) denominato “non-ceruloplasminico”. Il metallo arriva così al cervello, danneggiandolo. I soggetti sono stati monitorati per quattro anni, nel corso dei quali si è visto che il rischio di ammalarsi triplicava in quelle persone con problemi di memoria che avevano anche una concentrazione di rame libero nel sangue superiore a quella di individui sani. I risultati del test sono stati pubblicati sulla rivista Annals of Neurology.
«Nel 60 per cento dei malati il rame potrebbe avere un ruolo di primo piano», spiega Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di Neurologia del Policlinico Gemelli. «Questo accade perché il metallo arriva nel cervello e crea stress ossidativo», aggiunge la dottoressa Rosanna Squitti, ricercatrice della Fondazione Fatebenefratelli. L’esame del sangue, che non si può eseguire in altri laboratori, è già disponibile presso il Policlinico Gemelli. Adesso per due anni i ricercatori – con il supporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche – dovranno capire se riducendo la percentuale del rame nel sangue del soggetto cala anche il rischio di ammalarsi di Alzheimer.