Nel mondo circa cinquanta milioni i bambini che non vanno a scuola perché colpiti dagli scontri o arruolati nei corpi armati. Intanto, i fondi destinati all’educazione nelle emergenze umanitarie continuano a diminuire. Situazione drammaticamente peggiorata in Siria, dove si concentra oltre il settanta percento di attacchi registrati nel 2012 a livello globale.
Bambini tra i sei e i quindici anni che non vanno a scuola a causa dei conflitti che mettono in ginocchio i loro Paesi, di cui 28,5 milioni iscritti alle scuole elementari, oltre la metà bambine, e circa 20 milioni alle superiori. Nel 2012, sono stati tremila e seicento gli attacchi di vario tipo per impedire ai bambini l’accesso all’istruzione, tra i quali si contano violenze, bombardamenti di scuole, reclutamento dei minori in gruppi armati, torture e intimidazioni contro bambini e insegnanti sfociate in morti o ferimenti gravi.
Questi alcuni dei dati diffusi oggi dal nuovo rapporto di Save the Children sull’impatto che i conflitti armati hanno sull’educazione, elaborato dall’organizzazione in collaborazione con l’Education for All Global Monitoring Report dell’Unesco ed ispirata dalla forza di Malala Yousafzai, la studentessa pakistana che oggi affronterà il suo primo discorso pubblico all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, raccontando l’attacco subito da un cecchino mentre andava a scuola lo scorso ottobre.
Motassem dalla Siria, 13 anni- «Quest’anno avrei dovuto finire la scuola media per poi iscrivermi alle superiori, per iniziare a disegnare il mio futuro ma no il mio futuro è distrutto».
Salif dal Mali, 13 anni- «Il giorno in cui vennero i ribelli, testimonia , attaccarono scuola. Andarono nella stanza del preside e distrussero tutto»
Anche in alcuni Paesi del Sud America l’allarme è sempre acceso soprattutto per il reclutamento di ragazzi e ragazze nei corpi armati.
Paula dalla Colombia, 15 anni- «I giovani del villaggio vengono avvicinati dai guerriglieri che voglio assoldarli, mia cugina è stato ingannata e da quattro mesi è con loro, non ricevo più sue notizie da un mese»
«In alcune delle aree più critiche del mondo, l’educazione è per i bambini l’unica possibilità per avere un futuro migliore» dichiara Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia e continua «gli attacchi per impedire loro di andare a scuola evidenziati nel nostro rapporto si traducono in un furto perpetrato del loro futuro, un saccheggio di opportunità che dovremmo invece offrirgli per scoprire e valorizzare il loro potenziale. Le scuole dovrebbero essere luoghi sicuri, non campi di battaglia dove i bambini sono vittime di crimini orrendi. Questo è un prezzo che i minori pagheranno per tutta la loro vita»
«Le guerre arrestano il progresso, ogni anno impediscono a milioni di bambini di sedere tra i banchi di scuola» dice Pauline Rose, Direttore del Global Monitoring Report : «La nostra analisi dimostra che i bambini allontanati dai sistemi educativi a causa delle guerre rischiano di essere dimenticati. Molti di loro non completeranno mai il ciclo di studi, e saranno segnati a vita, fisicamente e psicologicamente».
La stima- Nonostante i drammatici numeri a livello mondiale sull’abbandono scolastico causato dai conflitti, resta scandalosamente bassa la quota di fondi destinati all’educazione nelle emergenze umanitarie, passando addirittura dal due percento del totale dei fondi umanitari in emergenza del 2011 all’uno virgola quattro percento del 2012, dunque ben al di sotto del quattro percento richiesto dalla comunità internazionale nel 2010.
L’appello di Save the children- Ci rivolgiamo ai leader mondiali affinché proteggano con tutti i mezzi l’accesso alla scolarizzazione condannando ogni tipo di attacco all’educazione. Va assolutamente proibito l’accesso e l’utilizzo delle scuole ai gruppi armati offrendo allo stesso tempo collaborazione alle scuole e alle comunità locali per l’adozione di misure che preservino le scuole quali luoghi di apprendimento, soprattutto in circostanze di conflitto. L’Organizzazione chiede inoltre di colmare l’incredibile vuoto di fondi aumentando la quota destinata al comparto educativo, in modo da raggiungere progressivamente il quattro percento dei fondi globali destinati alle emergenze umanitarie.
Romina Capone