A due anni di distanza da “What About Now”, i Bon Jovi firmano un nuovo album, “Burning Bridges” , già protagonista delle classifiche di tutto il mondo. E’ il primo progetto della rock band “a tre”, orfana del celebre chitarrista Richie Sambora, ed è anche l’ultimo su etichetta Mercury Records. Dopo oltre tre decenni di successi (dal 1983 ad oggi i Bon Jovi hanno venduto la bellezza di 135 milioni di dischi e suonato in quasi 3mila concerti per circa 37 milioni di fan), il gruppo del New Jersey cambia tutto per ricominciare. “Burning Bridges” è un album di transizione, ricco di demo e rarità, un primo, vero tentativo di rottura col passato. E’ un lavoro pensato e pubblicato per tagliare il cordone ombelicale con alcune fasi della storia della pop glam metal band e per preparare il terreno dal quale presto nasceranno nuovi progetti musicali. Il 2016 sarà l’anno zero e della rinascita. Questa è l’intenzione dei Bon Jovi. Dopo un 2014 piuttosto burrascoso, lo stesso Jon, leader e voce della band, vuole ritrovare la serenità di un tempo “bruciando i ponti” alle proprie spalle e guardando al futuro, alla “seconda vita” della sua famiglia artistica.
Il nuovo album “Burning Bridges”, uscito lo scorso 28 agosto in 45 Paesi, contiene 10 canzoni piacevoli ma sconnesse: ci sono brani riconoscibili e perfettamente in linea con lo stile bonjoviano; ve ne sono altri che ripropongono vecchie melodie della band ma rimpastate e riverniciate per l’occasione, altri ancora che spiazzano e disorientano anche i fan più datati. Il disco si apre con un lento godibilissimo, “A Teardrop to the Sea”, le cui sonorità ricordano quelle dell’album “Destination Anywhere” del 1996. Segue “We Don’t Run”, pezzo arricchito da un coro esplosivo che si apre su un ritornello tipico dei Bon Jovi e l’assolo di chitarra di Shanks. “Saturday Night Gave Me Sunday Morning” ha circa una decina di anni ma, evidentemente, non ha mai trovato posto in alcun disco della formazione americana. Fino ad oggi. Si tratta di un brano che si complica nella sua semplicità e “casualmente” suona simile ad alcune produzioni dei Nickelback (non vi ricorda la loro “Gotta Be Somebody” del 1998?).
Il resto del nuovo album dei Bon Jovi scivola su un terreno fertile ma irregolare, con ballad seducenti e melodie mid –tempo, strizzando l’occhio alle canzoni più recenti della band. Basta ascoltare “Who Would You Die For” per fare un salto indietro, precisamente al periodo di “These Days”, con un giro di basso che cattura ed emoziona, una canzone così claustrofobica e buia da scomodare addirittura l’essenza musicale di “Confortably Numb” dei Pink Floyd. “Fingerprints” è forse la regina del nuovo disco dei Bon Jovi, anche se potrebbe giocarsela alla pari con la dolcissima “Blind Love”, versione voce/piano di Jon Bon Jovi. Da segnalare il vivace pop country di “We All Fall Down” e la divertente “I’m Your Man”, prima del gran finale che racchiude in sé il mood dell’intero album: “Burning Bridges”, in cui Jon canta deciso: “Dopo trent’anni, hanno lasciato che ti scavassi la fossa. Adesso magari imparerai a cantare o almeno strimpellare insieme. Beh, ti darò metà dei diritti. Sei la ragione per la quale ho scritto questa canzone”. Un duro colpo al chitarrista Richie Sambora, o forse, un grido di addio, amaro e sofferto, al lungo tempo dei Bon Jovi, alla storica etichetta discografica, a una favola durata 30 anni e che ora lascia spazio e tempo a una nuova stagione artistica. Presto arriverà un “disco vero”, come lo stesso Jon Bon Jovi ha dichiarato. Il terreno è stato concimato, “Burning Bridges” lo ha seminato. Non resta che attende la primavera per vedere i fiori sbocciare e, soprattutto, per assaggiarne i frutti.
Voto album: [usr 3.5]
Silvia Marchetti