Sono 1 milione 655 mila le badanti nelle case degli italiani. Una cifra, questa, che rappresenta un vero boom, con un aumento del 53% in dieci anni. Sono i numeri emersi dalla ricerca realizzata dal Censis e dall’Ismu per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e che lasciano prevedere un incremento che nel 2030 dovrebbe portare alla necessità di avere 500 mila badanti in più rispetto al momento attuale. Una lunga analisi di questo fenomeno, che ha visto emergere altri dati interessanti, tra cui quello relativo a quanto la presenza di una badante possa incidere sull’economia familiare: «la spesa media per le famiglie – spiegano dal Censis – è di 667 euro al mese. Con la crisi oltre la metà dei bilanci familiari non tiene più, tanto che nel 15% dei casi è prevedibile che un componente della famiglia lasci il lavoro per assistere un congiunto».
Ma andiamo nel dettaglio: stando a quanto emerso dall’indagine, nell’ultimo decennio pare che l’area dei servizi di cura e assistenza per le famiglie abbia rappresentato per l’Italia un grande bacino occupazionale, tanto che il numero dei collaboratori che prestano servizio presso le famiglie (con formule e modalità diverse) è passato da poco più di un milione nel 2001 all’attuale 1 milione 655mila (+53%). Un incremento che ha registrato la crescita più significativa nella componente straniera, che oggi rappresenta il 77,3% del totale dei collaboratori. «Sono 2 milioni 600mila – proseguono – le famiglie (il 10,4% del totale) che hanno attivato servizi di collaborazione, di assistenza per anziani o persone non autosufficienti, e di baby sitting. E si stima che il numero dei collaboratori salirà a 2 milioni 151mila nel 2030 (circa 500mila in più)». Da notare, poi, come i servizi di collaborazione domestica siano in Italia sottovalutati dal punto di vista delle competenze, tanto che solo il 14,3% dei collaboratori ha seguito un percorso formativo specifico, sebbene il 60% di questi abbia come compito quello di assistere una persona anziana. «Va sottolineata – riprendono – anche l’assenza di intermediazione nel rapporto di lavoro: solo il 19% delle famiglie si avvale, infatti, di intermediari per il reclutamento, mentre esiste un’ampia area di lavoro totalmente irregolare (il 27,7% dei collaboratori) e «grigio» (il 37,8%), che si accompagna però al progressivo consolidamento di un quadro di tutele».
Anche le motivazioni che inducono i collaboratori a svolgere questo lavoro è da mettere in luce: se il 71% si trova nell’attuale condizione per necessità e il 35,4% perché ha perso il precedente lavoro, non manca chi dichiara di essere soddisfatto della scelta compiuta, tanto che il 70% del campione considera l’attuale occupazione ormai stabile e solo il 16% dichiara di essere in cerca di un lavoro più soddisfacente. In un quadro come quello tratteggiato, è chiaro che non si può evitare di sollevare la questione delle difficoltà che sempre più famiglie incontrano nel reclutamento e nella gestione del rapporto con i collaboratori. Famiglie che chiedono non solo sgravi di natura economica, ma anche una semplificazione per l’assunzione e la regolarizzazione dei collaboratori (lo chiede il 34% contro il 40% che richiede gli sgravi) e servizi che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta (29%). Il Censis aggiunge, poi, che il 34,5% delle famiglie vorrebbe l’istituzione di registri di collaboratori, così da garantirne la professionalità.
Ma torniamo, ora, all’aspetto economico, ossia a quella spesa media di 667 euro mensili che peserebbe attualmente sulle famiglie con collaboratori di questo tipo. È da segnalare, a tal proposito, come solo il 31,4% dei nuclei familiari riesca a ricevere una qualche forma di contributo pubblico. «Se la spesa che le famiglie sostengono incide per il 29,5% sul reddito familiare – spiegano dal Censis – non stupisce che già oggi, in piena recessione, la maggioranza (56,4%) non riesca più a farvi fronte e sia corsa ai ripari: il 48,2% ha ridotto i consumi pur di mantenere il collaboratore, il 20,2% ha intaccato i propri risparmi, il 2,8% si è dovuto addirittura indebitare. L’irrinunciabilità del servizio sta peraltro portando alcune famiglie (il 15%, ma al Nord la percentuale arriva al 20%) a considerare l’ipotesi che un membro della stessa rinunci al lavoro per prendere il posto del collaboratore». In riferimento a quest’ultimo punto sono significative le informazioni fornite da quelle famiglie che sono prive di badanti: si stima, infatti, che nel 25% delle famiglie in cui è presente una persona da assistere e in cui non si possa ricorrere ai servizi di un collaboratore «vi sia una donna (nel 90,4% dei casi) giovane (il 66% ha meno di 44 anni) che ha rinunciato al lavoro: interrompendolo (9,7%), riducendo significativamente l’impegno (8,6%) o – concludono – smettendo di cercarlo (6,7%)».