Cats è il musical dei record. Il titolo, in scena a Milano, ha vinto sia il Laurence Olivier che il Tony (più una serie di statuette diverse nelle varie categorie). La colonna sonora di Broadway si è meritata il Grammy come miglior album di musical nel 1984 (l’anno precedente la versione del West End aveva perso per un soffio contro la corazzata “Dreamgirls“). Memory, il suo “eleven o’clock number“, è stato inciso da oltre 150 artisti. Ha prodotto più lavoro per la gente di teatro di qualsiasi altro show. Ha reso Lloyd Webber il compositore più ricco al mondo. È stato tradotto in 20 lingue, è andato in scena in una trentina di nazioni, a Londra per 8.949 repliche, a NYC per 7.485 con un impatto economico stimato, solo per questa città, di 3.12 miliardi di dollari. La sua locandina è una delle più belle che il teatro musicale ricordi, ma quando lo si vede dal vivo, tutto questo scompare. Resta solo l’ammirazione per un atto d’amore che un uomo aveva per il libro-chiave della sua infanzia. Andrew Lloyd Webber infatti ha dichiarato di aver sempre amato Old Possum’s Book of Practical Cats, la raccolta di poesie che Thomas Stearns Eliot pubblicò nel 1939 e che sua madre gli leggeva la sera per farlo addormentare. E forse fu proprio questa sua passione che riuscì a convincere la vedova di Eliot a cedergli i diritti (ferocemente negati per anni alla Disney) insieme alla rassicurazione che quel materiale sarebbe stato trattato con rispetto. Il resto si legge nei libri di Storia del teatro musicale. Webber si mise in società con Cameron Mackintosh e fece un mutuo sulla propria casa per finanziare la sua quota della produzione originale. Assunse Trevor Nunn come regista e Gyllian Lynne come coreografa. Organizzò il materiale per creare la storia di una colonia di gatti che si riunisce una notte magica per decidere chi di loro ha diritto di rinascere in una vita migliore. Scritturò Judi Dench per il ruolo di Grizabella, la vecchia gatta randagia e affamata d’amore, ma fu costretto a sostituirla con Elaine Paige. Eccetera, eccetera, eccetera… Un eccetera che è arrivato fino a oggi, nell’ennesimo tour felino che tocca il bel Paese. Sarebbe stato logico aspettarsi un fisiologico calo di interesse, visto che non molto tempo fa un altro tour inglese era già venuto in Italia, e la produzione italiana (diretta da Saverio Marconi e prodotta dalla Compagnia della Rancia) ha spopolato con enorme successo nelle stagioni 2009/10 e 2010/11. E invece no.
La sola piazza di Milano ha strappato 13.000 biglietti in prevendita per 5 date, Genova 8.000, Torino 9.000, e il tour continua. Il problema è che parlare del musical Cats ti porta inevitabilmente a dover citare dati, snocciolare statistiche e spostare l’attenzione dall’ispirazione a cui facevo riferimento prima per parlare – con un po’ di distacco – del prodotto finito. Ma una serata in platea rimette a posto la prospettiva. A Milano quando partono le note dell’ouverture, quando si accendono i primi occhi luminosi sul palco i numeri scompaiono, e capisci di trovarti di fronte a un classico che tale è diventato con una ragione. Webber forse mai come in questo musical riesce a combinare elementi diversi usando il concetto di sinergia. Il suo stile è stato definito eclettico (in Jesus Christ Superstar riesce a combinare il rock con una canzonetta che gli era stata rifiutata dall’Eurofestival, rendendo il tutto coeso), ma in Cats va oltre. Ogni gatto che racconta la propria storia lo fa con un numero che sposa tanto il vissuto del personaggio che un particolare stile musicale: pop, rock, dissonanze moderne, operetta, ballad… Miss Marple, la celebre investigatrice di Agatha Christie, sosteneva che basta osservare le tipologie umane anche in un piccolo paese come St Mary Mead per capire l’uomo. Evidentemente Eliot e Webber, connazionali della Christie, sono dello stesso avviso: i gatti siamo noi, con le nostre vicende e meschinità, con le nostre storie e umanità (pardon: felinità), persino con i nostri gusti musicali. E ascoltare l’intera partitura ti racconta una storia che va oltre gli eventi. Ti fornisce una visione complessiva, completa, dell’Uomo usando degli animali e le note musicali. Una visione assolutamente soddisfacente. Magica.
Per questo nuovo allestimento si è ricreato il team creativo originale. Webber, Nunn e Lynne insieme hanno ripreso il loro spettacolo e l’hanno rimesso in scena, usando la seconda delle proverbiali nove vite che evidentemente ha. Per farlo hanno “modernizzato” alcuni elementi: inserendo uno spettacolare numero di tap nell’Old Gumbie Cat coreografato da Bill Deamer; rispolverando “In una tiepida notte” l’aria d’opera cantata in italiano che la produzione di Broadway aveva preferito a “La ballata di Billy M’Caw“; ripensando completamente il numero di Rum Tum Tugger facendo diventare l’originale rock star degli anni ’80 uno scanzonato rapper gatto-nero. Il risultato complessivo è stato fenomenale (anche se ammetto che il nuovo Rum Tum Tugger non mi ha convinto. Sarò un purista ma secondo me la rock star… graffiava infinitamente di più. Ma del resto che ti serve essere un autore-leggenda vivente se non puoi liberamente rimaneggiare i tuoi stessi capolavori?). Menzioni speciali per la Grizabella Anita Louise Combe in chiave “West End” (cioè volutamente sottotono nel preludio di Memory del primo atto, per poi esplodere nel secondo con un belting trascinante nel verso “Touch me, it’s so easy to leave me…“), per Shiv Rabheru, incredibile Mr Mistoffeles gatto ballerino, per la splendida interpretazione di Celia Graham come Jellylorum e per l’italiano Greg Castiglioni, ottimo cantante al punto che, proprio grazie alla sua vocalità, “In una tiepida notte” ha potuto essere riascoltata. Dicevo prima che le vite di un gatto sono 9. Dopo aver visto il musical Cats a Milano, non puoi che rallegratene.