«C’e’ un dolore che non finisce mai. Quello dei profughi che perdono la vita nel Mediterraneo». Queste le parole della Comunità di Sant’Egidio che con una nota inviata in redazione esprime il proprio cordoglio per gli extracomunitari che erano a bordo del barcone naufragato al largo di Lampedusa il 6 settembre 2012. «Le dimensioni delle ultime tragedie sono impressionanti – afferma la Comunità di Sant’Egidio -. Secondo le testimonianze raccolte dalla Guardia Costiera, sul barcone verso viaggiavano complessivamente 136 migranti, tra i quali dieci donne e sei bambini. 56 i superstiti. 80 le persone che risultano ufficialmente “disperse”. Si aggiungono ai 46 sopravvissuti e ai 61 adulti e 31 bambini, anche tre neonati, scomparsi con il barcone affondato davanti ad Izmir, sugli scogli di Ahmetbeyli. Tunisini gli scampati e le vittime a Lampedusa; siriani, palestinesi, irakeni, al largo della Turchia, diretti in Grecia. Chi è vivo in queste ore a Lampedusa lo deve allo straordinario lavoro della guardia costiera e ai pattugliamenti “per la vita”». Adesso, continua la Comunità romana, «è il tempo del dolore, della pietà. Perché ogni italiano senta questo lutto come una tragedia di famiglia. E’ il tempo per iniziative coraggiose, italiane ed europee, di cooperazione internazionale nel Mediterraneo e in Africa, per ricostruire speranza e possibilità di vita. Al posto di politiche di contenimento che rendono solo più alto il prezzo da pagare: il rischio di vita, la difficoltà e la lunghezza dei percorsi, i vantaggi dei trafficanti di vite umane. E’ il tempo per politiche innovative nell’accompagnare le richieste di democrazia e dignità nei paesi del Mediterraneo, che non possono passare per una escalation dei conflitti, della violenza e delle guerre, che hanno dato finora risultati fallimentari».