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Nell’epoca del Coronavirus è necessario saper comunicare. Questo termine ha un’etimologia affascinante, ricca di significato. Comunicare arriva da Communicare che vuol dire mettere in commune. E più specificatamente mettere un valore al servizio di qualcuno. Ovvero chi comunica deve riuscire a trasmettere il messaggio nel modo più comprensivo possibile facendo diventare quel concetto patrimonio comune. Dunque, se qualche italiano non ha compreso l’importanza di stare a casa è perché il messaggio non è arrivato nella maniera corretta.
Mario Lavia, a proposito della comunicazione di Conte, precisa su Linkiesta, nel sottotitolo di un interessante articolo uscito il 21 marzo 2020: “La comunicazione adesso è persino più importante della politica perché può e deve coprirne i ritardi, senza essere per questo inganno o demagogia. Procedere con i «si dice», con le «fonti di Palazzo Chigi diconoche…», non è serio, non è tollerabile e non è efficace”. Poi aggiunge: “Il Governo deve prendere nelle sue mani il filo della comunicazione con l’opinione pubblica nazionale – specifica -. Non si può affidare alla mesta conferenza stampa del dottor Borrelli e del medico di turno, un appuntamento per carità svolto al meglio ma totalmente privo di forza, di messaggio, di indicazioni. Come minimo a fianco di Borrelli e Brusaferro dovrebbe esserci ogni giorno il presidente del Consiglio o un ministro di primo livello in grado di fornire un quadro generale sensato e coerente”. E poi propone una soluzione: bisogna parlare alla gente, soprattutto ai giovani, mediante i loro idoli (calciatori, cantanti… motivatori, influencer). Ma questo tipo di comunicazione dovrebbe essere istituzionalizzata. Non si possono applicare i metodi comunicativi cinesi nel nostro Paese. E vediamo nello specifico perché.
Coronavirus. Gli italiani non sono cinesi
Gli italiani non capiscono? Io mi spingo oltre: gli italiani non sono cinesi e so che questa affermazione potrebbe fare molto discutere, perché ognuno potrebbe leggere nellemie parole ciò che vuole; sarò dunque ancor più precisa.
Gli italiani non hanno la cultura del popolo cinese, non perché siano indisciplinati, ma perché sono occidentali. E` propriamente un fatto culturale. Ne parla molto bene il docente Filippo Mignini all’HuffPost: “I cinesi percepiscono l’individuocome parte del tutto – sostiene -. Dalla comunità, discende l’esistenza anche del singolo. Viceversa, noi consideriamo il tutto come somma di ogni singola parte. È sul singolo che si costituisce la nostra idea di popolo, che non è altro che l’insieme delle nostre individualità”.
Mignini afferma inoltre che “il cinese ha alle spalle duemila e quattrocento anni di confucianesimo, una cultura ripresa anche dall’attuale partito comunista, che insegna un acuto senso della responsabilità sociale. Al contrario, noi abbiamo dietro una filosofia che si è mossa nella direzione di una forte maturazione della dimensione individuale”.
Coronavirus, serve comunicazione istituzionale più efficace
Chi scrive i discorsi del premier dovrebbe tener conto del ragionamento di Mignini e quindi le strategie dovrebbero essere diverse. Gli italiani dovrebbero sentirsi valorizzati come individui. Quindi, la comunicazione (non di aspetti tecnici ed economici, è ovvio) dovrebbe essere affidata a chi davvero riesce a smuovere le coscienze anche con discorsi motivazionali partendo da argomenti che magari fanno più presa negli adolescenti, i quali sono più votati a trasgredire – proprio per motivi inconsci, legati all’età – le regole.
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