Il reddito disponibile delle famiglie italiane ha subito, e subirà almeno fino al 2014, un vero e proprio crollo da quando è esplosa la crisi economica. La contrazione che ha perso avvio nel 2008 si protrarrà, infatti, fino al 2014 per una perdita totale di quai 90 miliardi di euro, il 10 per cento in meno rispetto al 2007. E’ il dato che emerge da una ricerca condotta dal Centro Europa Ricerche (Cer) in convenzione con l’Ires Cgil centrata sull’emergenza redditi e «le ipotesi sciagurate, esplicitate dal ministro Fornero, per indebolire la copertura dei contratti nazionali», come denuncia il segretario confederale, Danilo Barbi.
Nell’analisi dell’andamento del reddito disponibile delle famiglie italiane lungo sette anni (2008-2014), lo studio mette l’accento inoltre sul fatto che la contrazione che si registrerà quest’anno sarà la massima di sempre, pari al -4,3 per cento. Un dato che va ben oltre il precedente ‘picco’, registrato nel 2009, quando la diminuzione è stata del -2,5 per cento. Una contrazione ‘monstre’, si legge nello studio, «nella quale si stanno volatilizzando tutti i guadagni realizzati a partire dal 1996», così come per dimensioni e durata, questa flessione del reddito disponibile «non ha paragoni nelle serie storiche del dopoguerra».
Il risultato, spiega quindi Barbi, «è che sempre più ci allontaniamo da una situazione di semplice recessione, per entrare in condizioni di vera e propria depressione economica». Per il dirigente sindacale, infatti, i dati dello studio Cer e Ires Cgil «descrivono la violenta emergenza dei redditi che incide radicalmente sulla crescita e sull’occupazione. Il tutto infatti si registra in un Paese come il nostro in cui l’80% del Pil è fatto dalla domanda interna». Di fronte a questi numeri, quindi, “le dichiarazioni del ministro Fornero sono sciagurate quanto incredibili, vista la drammatica situazione dei salari”, osserva Barbi in merito alle parole della ministra circa la rinuncia all’indicizzazione degli aumenti salariali all’inflazione in via automatica.
Ma quanto «la deflazione dei redditi sia uno degli elementi di questa depressione», lo dimostra anche un altro passaggio della ricerca. Analizzando infatti l’andamento dei livelli nominali e reali del reddito disponibile in tre fasi (dal 1964 al 1992, dal 1992 al 2007 e dal 2007 al 2014) la terza e ultima fase viene definita «la più sfavorevole». Riporta infatti lo studio Cer e Ires che «per la prima volta dal 1992, il rallentamento interessa anche i redditi nominali». La perdita di reddito, cioè, «non è imputabile all’inflazione, ma al venir meno dei fattori di dinamica intrinseca che, nel tempo e in condizioni normali, dovrebbero sostenere la capacità di spesa delle famiglie», come ad esempio l’aumento delle retribuzioni e dell’occupazione, la stabilizzazione della pressione fiscale e dei flussi di trasferimento pubblico e altro ancora.
Una proiezione «poco ottimistica» poi ci dice che se si potesse tornare alle dinamiche del periodo 1992-2007, «bisognerebbe comunque aspettare fino al 2036 per recuperare il potere d’acquisto pre-crisi». Ecco perché «la cruda realtà di questi dati ci dice quanto siano incredibili le parole della ministra Fornero», denuncia il segretario confederale della Cgil nel suggerire invece un intervento si sostegno per salari e pensioni. «Per il bene del paese e per contrastare una recessione sempre più depressione, occorre adottare al più presto una strategia di sostegno fiscale per i salari e le pensioni: visto che sulla cosiddetta trattativa sulla produttività non siamo di fronte ad un accordo, andrebbero indirizzati gli 1,2 miliardi di euro per il 2012 per un intervento – conclude Barbi – che possa alleggerire il peso del fisco sui salari e sulle pensioni».