Der Park di Botho Strauss, recensione

Der Park di Botho Strauss, con la regia di Peter Stein, è in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 31 maggio e sarà in tournée nella stagione 2015-2016. 

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©Serafino Amato

Perché Peter Stein ci teneva così tanto a portare il Der Park (Il Parco) di Botho Strauss anche in Italia? È da qui che vogliamo partire per addentrarci in questo spettacolo perché è una domanda che sorge spontanea mentre si assiste alla messa in scena e a cui non vogliamo rispondere, ma rilanciarla a voi potenziali spettatori. Ognuno di voi, se deciderà di recarsi in teatro, potrà rintracciare la/e propria/e risposta/; quello che ci sentiamo di dire è che si avverte quanto il regista tedesco tenga a quest’opera e come essa sia in linea col suo percorso.

Tutto parte nel 1974 quando Stein chiede all’autore di tradurre “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, Strauss non realizzerà, però, una traduzione pedissequa, ma si ispirerà a quel testo per darne alla luce un altro mettendo in campo tutta la sua abilità di dramaturg (figura nata in Germania, può essere tradotto come: consulente teatrale letterario) ripensando il sogno shakespeariano ai giorni odierni, o meglio, quelli degli Anni ’80 in cui Strauss ambientò Der Park (la prima rappresentazione fu nel 1984). Questo dato ci appare un punto importante perché, per quanto siano riscontrabili agganci anche col nostro oggi – se si pensa anche al discorso capitalistico – le atmosfere hanno un sapore di quegli anni e tanto più del clima sociale, culturale e politico della Berlino di allora (siamo nel 1983 e il muro di Berlino non era stato ancora abbattuto).

Cosa resta della commedia shakesperiana? Strauss sceglie di togliere la cornice di Atene con Ippolita, Teseo e la loro corte che costituivano il setting dell’intreccio principale e punta alla parte centrale, il bosco col regno delle fate, dove avvengono le avventure dei quattro giovani amanti in fuga dalla città greca. Ecco in Der Park il bosco diventa il parco, che può presentarsi come un cespuglio contaminato dai rifiuti urbani, ma che allo stesso tempo sberluccica quando appaiono Oberon (Paolo Graziosi) e Titania (Maddalena Crippa).

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©Serafino Amato

La prima scena è quasi una dichiarazione di intenti e, a suo modo, una provocazione insita nella domanda che Georg (Graziano Piazza) rivolge a Helen (una Pia Lanciotti straordinariamente in parte): «e l’arte? Come va l’arte?». La donna è un’acrobata, «caduta, precipitata» nella sabbia durante un numero – e neanche questo è un caso. Già in questo incipit si intuisce tutta la pregnanza simbolica di questo testo e l’allegoria che di lì a poco prenderà piede. In un cespuglio del Grosser Tiergarten (situato nel centro di Berlino) si risvegliano Oberon e Titania, i quali si chiedono se ci sia ancora della sessualità negli umani e ancora: «Cos’è la voglia loro non lo sanno, la loro voglia somiglia alla nostra come lucertola somiglia a un drago». Come potete notare, Strauss cerca di mettere in bocca alle due divinità parole poetiche, talvolta citando anche l’originale, ma col dipanarsi della storia e con la loro metamorfosi, il linguaggio perderà di lirismo anche in loro e diventerà sempre più comune in linea con la cultura di massa.

In Der Park i quattro amanti pensati da Shakespeare diventano i borghesi Helen-Georg (che corrisponderebbero a Elena e Demetrio), Helma (Silvia Pernarella) – Wolf (Gianluigi Fogacci) (si rifanno a Ermia e Lisandro), il Puck che era a servizio di Oberon nel mondo reale qui sarà Cyprian (Mauro Avogadro), un artista che crea incantesimi tramite gli amuleti e microsculture.

I due re hanno una missione: far riavvicinare gli uomini alla dimensione più passionale. «Chi più diventa folle per un altro?». I quattro innamorati saranno vittima dell’incantesimo, ma anche la stessa Titania che in Der Park, si muterà in… (a voi scoprirlo) per poi dar alla luce un minotauro (un Alessandro Averone bravissimo nel reggere anche la ripetitività e ridondanza del suo personaggio). A quest’ultimo, in particolare, è affidata la chiusa della pièce.

Vi starete chiedendo che fine abbiano fatto il gruppo di artigiani guidati da Bottom e che costituivano buona parte del registro più comico… non ci sono più, o meglio, sono stati sostituiti da un groppo di punk, tre ragazzi e una ragazza, pronti a interagire anche con la stessa Titania punita da Oberon.

©Serafino Amato
©Serafino Amato

Non vogliamo rivelarvi tutti i cambiamenti che il dramaturg ha messo in campo in Der Park rispetto al testo shakespeariano, i temi originari su cui campeggia quello dell’amore vengono mantenuti e, a loro modo, esasperati anche nelle declinazioni animalesche e di violenza. A tratti sembra che si voglia giocare con la degradazione umana e il regista asseconda quest’idea che, inevitabilmente, rispecchia la realtà. Se nel “Sogno di una notte di mezza estate” si crea un forte legame tra il mondo fantastico e quello reale per poi, passata la notte, cercare di ristabilire l’ordine delle cose; in Der Park prevale un disincanto (significativo è il dolente monologo di Helma così accoratamente interpretato dalla Pernarella). La magia rappresentata dagli amuleti ha una durata ridotta e, a un tratto, non ha più effetto, donne e uomini assumono talvolta atteggiamenti marionettistici (vedi, soprattutto, la gestualità di Titania dopo la trasformazione). Strauss ci fa vedere anche come le influenze linguistiche vadano a impoverire e quasi a minare la lingua se la si pensa in modo puro (in alcuni punti, in particolare di sfogo, Helen inizia a parlare in americano) e ironizza provocatoriamente anche sui cliché. Tutto questo microcosmo s’intreccia perfettamente con la strada percorsa dal regista negli anni, che ha scelto spesso testi che avessero al centro la sconfitta umana e l’inesorabile caduta (dal “Giulio Cesare” di Shakespeare a testi di Čechov). Stein si mette a servizio del disegno dell’autore rispettando gli elementi peculiari del suo lavoro: dall’attenzione quasi maniacale al testo, allo spazio della rappresentazione (non è un caso che abbia cercato trentadue cambi di scena) che va di pari passo con la dilatazione del tempo teatrale. Va segnalato che, forse anche per alti e bassi nel testo, la seconda parte è quella che gode di un ritmo più incalzante, la prima serve a far entrare lo spettatore nel mood segnato da Strauss e assecondato da questa messa in scena – lodevoli alcune idee registiche come il piano inclinato e ciò che può nascondere. La terza parte risulta un po’ più faticosa nonostante la costante bravura attoriale e tecnica. È innegabile che bisogna andare preparati e predisposti a uno sforzo di attenzione che, a tratti, può calare.

Inutile dire che su uno spettacolo di tale pregnanza ci sarebbe ancora tanto da dire, ma lo lasciamo alla rappresentazione e all’incontro che ognuno di voi avrà con questa visione.

 

Voto: [usr 4]

 

Maria Lucia Tangorra

 

 

DER PARK

di Botho Strauss dal “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, traduzione di Roberto Menin

Regia: Peter Stein

Con: Pia Lanciotti, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Gianluigi Fogacci, Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, Fabio Sartor, Andrea Nicolini, Mauro Avogadro, Martin Chishimba, Arianna Di Stefano, Laurence Mazzoni, Michele De Paola, Daniele Santisi, Alessandro Averone, Romeo Diana/Flavio Scannella, Carlo Bellamio

Scene a cura di Ferdinand Woegerbauer; costumi di Anna Maria Heinreich

Lighting designer: Joachim Barth

Musiche originali: Massimiliano Gagliardi

 

Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Argentina, nella persona di Amelia Realino

 

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