“Dirty Dancing” dal film al teatro

 La recensione dello spettacolo “Dirty Dancing – The Classic Story On Stage”  allestito al Teatro Nazionale di Milano fino al 28 dicembre

dirty dancing teatro3Non è mai facile confrontarsi con un “mito” e per quanto possiamo portare avanti l’idea che ogni lavoro sia a sé, di fronte al musical “Dirty Dancing – The Classic Story On Stage” la mente va inevitabilmente al film del1987 diretto da Emile Ardolino – opera che diede particolare fama ai due protagonisti. Lei, Jennifer Grey (Frances “Baby” Houseman), pur avendo recitato tre anni prima in “Cotton Club” di Francis Ford Coppola, è stata consacrata da “Balli proibiti”; lui, Patrick Swayze è stato associato a Johnny Castle e a Sam Wheat di “Ghost” – chi non si ricorda la famosa scena in cui forgia un vaso con Demi Moore. Questi lungometraggi appartengono a quelle pellicole che accompagnano qualsiasi spettatore, anche il più cinefilo, ci sono fotogrammi che restano impressi nel nastro della memoria e non si ha età per sciogliersi di fronte al romanticismo di alcune storie.

I due protagonisti dello spettacolo teatrale
I due protagonisti dello spettacolo teatrale

Così com’è stato per “Ghost”, anche da “Dirty Dancing” è stato tratto un musical, anzi, sulla carta, quest’ultimo si prestava ancor più a questa trasformazione. “Dirty Dancing – The Classic Story On Stage” dal debutto assoluto nel 2004 in Australia, tappa dopo tappa, è diventato un fenomeno mondiale, approdando quest’anno anche in Italia e solo a Milano, al Barlacys Teatro Nazionale dal 9 ottobre al 28 dicembre, sotto la direzione artistica di Federico Bellone (anche produttore esecutivo). I nostri Baby e Johnny (Sara Santostasi e Gabrio Gentilini) riescono a trasmettere il graduale innamoramento e il rapporto allieva-insegnante a suon di danza, ma – lo diciamo a malincuore – emerge il punto debole della recitazione (lui più in parte di lei rispetto a questo aspetto). Questo elemento è quello che abbassa un po’ il livello dell’adattamento italiano, che segue fedelmente l’originale; infatti, l’autrice del film, Eleanor Bergstein, è l’ideatrice dello spettacolo. Ci sono, in alcuni momenti, delle pause troppo lunghe tra una battuta e l’altra e l’adattamento del libretto risente di un linguaggio che, a tratti, stona nonostante voglia rispecchiare termini dell’epoca. Un merito va ai cambi di scena fluidi e funzionali, con costumi (Jennifer Irwin) degni di nota. Lo starete intuendo, non si può dir nulla sulla “confezione” che coinvolge e ci fa catapultare nell’estate del ’63; a far da traino è la meravigliosa colonna sonora, composta da grandi successi come “Hungry eyes”, “Do you love me?” e l’indimenticabile “(I’ve had) The time of my life”, tra i brani interpretati dal vivo da Billy (Marco Stabile) – Elizabeth (Ilaria De Angelis) e dall’ensemble è quello che più tocca grazie anche alla coreografia e all’attesa della presa dell’angelo.

Il film
Il film

Mentre si assiste alla messa in scena (la regia associata è di Simone Leonardi, mentre quella originale è curata da Sarah Tipple), non di rado si ascolta il pubblico ripetere simultaneamente le battute e questo è il sintomo di come “Dirty Dancing” sia un classico che è nel cuore e nell’immaginario di ognuno. Possono esserci dei limiti che magari si attenueranno di replica in replica, ma resta un musical che può far muovere i piedi mentre assisti e farti venir voglia di ballare perché, come afferma la Bergstein, «dentro ognuno di noi si nasconde un ballerino».

 

Maria Lucia Tangorra

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